Politica

L’uomo del Colle

Sarebbero stati degli ingrati e degli stupidi, quelli di Comunione e Liberazione, se non si fossero spellati le mani per applaudire Giorgio Napolitano. Né mi stupisce il conformismo collettivo, nel commentare quell’evento. Mi figuro quanto ridicoli ci si debba sentire nel raccontare che i più importanti esponenti dell’asfittico capitalismo italiano, pubblico e privato, si sono precipitati a Rimini per meglio capire il fenomeno Cl, dal quale si dicono affascinati, salvo arrivare un attimo prima del Presidente della Repubblica e andare via a ruota. Ma capisco tutti, come capisco che manchi il coraggio e la libertà per dire che non solo nella nostra Costituzione non c’è un solo rigo che autorizzi comizi di quel tipo, ma è più volte escluso che il Presidente possa tenerli.

I ciellini fanno bene ad essere contenti, perché la presenza presidenziale dà loro forza politica. E fanno benissimo a compiacersi per le parole dell’uomo del Colle, giacché scegliere quella platea per bacchettare sia il governo che l’opposizione equivale a candidare gli ospiti a far da aggregante di un diverso equilibrio. Per forza che si sgolano per acclamarlo. Fanno bene i deboli potenti a farsi vedere in prima fila, perché non si sa mai, tutto viene giù, su l’opposizione non c’è da fare affidamento e il governo è prodigioso che non si sia già sbriciolato. E mi domando, sinceramente, se non sia il caso d’abbozzare, di rinunciare a voler fare i discoli e accodarsi al corteo festante, perché la politica fa pessima mostra di sé e il Quirinale svolge un ruolo di supplenza. Ma non riesco a rispondere positivamente. Credo che la cosa sia pericolosissima.

Entriamo brevemente nel merito. Secondo Napolitano l’opposizione fa male a prendersela sempre e comunque con il governo, giacché sarebbe più responsabile, suppongo, riconoscere le radici antiche e generali del nostro debito, nonché la natura internazionale della crisi. Sembra ragionevole, ma le opposizioni fanno quel mestiere in tutti i Paesi europei. In tutte le democrazie. Capita in Inghilterra, in Francia, in Germania (dove se la prende con il governo anche un partito che lo compone). Naturalmente le opposizioni ci guadagnano a far critiche ragionevoli, accompagnate da proposte efficaci e percorribili. Ma perché, invece, da noi si dovrebbe procedere affratellandosi nel naufragio? Non ha senso, o, meglio, è il vecchio senso del compromesso storico. Quello cui dobbiamo la gran parte del debito. Perché dovremmo sperare che lo risolva?

In quanto al governo, Napolitano ci va giù piatto: ha nascosto, per motivi propagandistici, la gravità della crisi. E’ una tesi diffusa, che trova adepti anche nella maggioranza, ove si rimprovera a Tremonti di aver detto che tutto andava bene. Ma è una tesi per allocchi. Con rispetto parlando. Sbaglia, Napolitano, se crede che un governo serio avrebbe avuto il dovere di anticipare l’allargarsi dello spread annunciandone l’arrivo. Sarebbe stato un comportamento irresponsabile. Ha ragione, invece, se intende dire che i lunghi anni dei bassi tassi d’interesse si sarebbero dovuti utilizzare per fare riforme destinate a comprimere la spesa pubblica e aumentare la produttività, ma, in questo caso, ci scusi l’impertinenza: era ministro degli interni quando il governo decise di diminuire l’orario di lavoro, portandolo a 35 ore entro il 2001. Non se ne era accorto? In quanto ad equità, Napolitano dovrebbe ricordare d’essere stato eletto Presidente dalla medesima maggioranza che, subito dopo, cancellò lo scalone pensionistico, rallentando l’innalzamento dell’età pensionabile e mettendone il prezzo sul conto dei precari. Gli era sfuggito? Escludo che i potenti plaudenti non sappiamo queste cose, mentre intuisco la ragione per cui i commentatori non commentanti le occultano, ma temo che il pulpito non sia il più adatto, per lezioni di questo tipo. (Le cose che scriviamo oggi le scrivevamo anche allora, sicché s’eviti di dire che non si poteva sapere quel che sarebbe successo).

Fare di queste osservazioni, mi rimproverano, è da incoscienti, perché Napolitano è non solo persona di gran livello ed equilibrio, ma anche l’ultimo appiglio per una Repubblica in disfacimento. Mi piacerebbe crederlo, ma vedo, invece, che tacere il deragliamento costituzionale, che dura da molte presidenze, porta solo a ridurre la Costituzione in coriandoli. Strano modo di salvare la Repubblica. Né porta bene il commissariamento degli schieramenti politici (com’è avvenuto sulla questione libica), perché in tempi divincoli economici esterni depoliticizzare la politica equivale a farsi dirigere da fuori.

In quanto agli applausi, che vengono da ogni dove e che danno torto a chi la pensa come me, suggerisco di non dimenticare la lezione offerta da Sandro Pertini, il più popolare e retto fra i presidenti: non fece a tempo ad uscire dal portone del Quirinale e raggiungere la Fontana di Trevi, dove abitava e che dista pochi metri, che già se lo erano dimenticato.

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