Quei sei corpi sulla spiaggia di Plaia, a Catania, listano a lutto il tempo e il luogo della vacanza. Sono partiti in troppi, tutti lanciati a violare la legge italiana, si sono arenati vicino alla meta, ma abbastanza lontano perché a taluni sia stato fatale. Una tragedia.
Si sprecheranno le frasi di circostanza, scarseggeranno quelle di sostanza. Quei morti sono un dolore umano, che solo la truce scorza della xenofobia può attutire. Ma sono anche un lutto per la nostra politica dell’immigrazione. Come per quella (inesistente) europea. Quando i migranti fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni vederli morire in quel modo sancisce il fallimento dell’Onu e delle chiacchiere sul diritto al rifugio. C’è chi ci ha fatto carriera, con quelle chiacchiere, chi ne ha fatto mestiere e reddito, ma c’è chi ne muore, per l’incapacità internazionale di organizzare e indirizzare quanti hanno diritto a essere ospitati altrove. Quando i migranti affrontano il rischio della vita, affidandosi alle mani di organizzazioni criminali, inseguendo il miraggio dello sbarco in un mondo che offra loro, e ai loro figli, un benessere che non trovano a casa, quando si lasciano buttare nel mare, sperando di non affogare, si muovono perché sanno che il rischio più grande è nel viaggio. Una volta approdati in Italia, in un modo o nell’altro, le cose si sistemeranno. Ed è quella la nostra colpa, il non chiarire a tutti questi esseri umani che no, in Italia da clandestini non si entra. E se si entra si è costretti a tornare indietro, avendo rischiato la vita e dilapidato quattrini del tutto inutilmente.
In Italia l’immigrazione serve. Nessun Paese può chiudersi in sé. Non sopporto la gnagnera di quelli che si disperano perché dei nostri giovani vanno a cercar fortuna nel mondo. Non sopporto neanche la solfa secondo cui gli immigrati toglierebbero lavoro o ricchezza agli italiani. La creano. Ma a condizione che siano regolari e regolati. Non abbiamo nessun bisogno di ministeri e ministri per l’integrazione, perché è garantita dal lavoro. Uno strumento inclusivo straordinario, che funziona dall’estremo sud all’estremo nord. Funziona benissimo e senza bisogno di predicozzi, dato che gli italiani non sono e non diventeranno razzisti. Ci serve, semmai, una netta politica dell’immigrazione, perché i problemi di rigetto si creano a causa di una clandestinità troppo diffusa e troppo tollerata, da chi dovrebbe combatterla e dalle leggi. E’ la cieca cattiveria del buonismo untuoso che genera norme capaci solo di moltiplicare il fenomeno. Una clandestinità che presta manodopera alla malavita, ma che anche agevola non pochi consumi poveri, grazie al mercato nero. Ciò, però, specie in periodi di crisi, crea sacche d’inumano degrado e di discesa ai limiti della sussistenza. E non è accettabile.
Grazie alla globalizzazione i poveri, nel mondo, sono enormemente diminuiti. Ma gli squilibri di reddito e tenore di vita restano alti. Nessun Paese “ricco” può permettersi di trasformare la politica dell’immigrazione in festival dell’accoglienza, perché ne sarebbe travolto e disfatto. Dobbiamo programmare e dobbiamo anche scegliere, affinché gli ingressi coincidano con i bisogni del mercato. Non è cinismo, ma la cosa più umana che si possa fare. Al tempo stesso, sempre per umanità, occorre che sia noto a tutti che in Italia non si entra di soppiatto. La legge lo proibisce e lo stato cerca di impedirlo. Quando non ci riesce (nessuno Stato ci riesce del tutto) provvede a reprimere e cacciare i clandestini che scova. Più chiaramente sarà detto e meno vite saranno messe a rischio nel mare, meno innocenti abbagliati dall’impossibile affogheranno.
Così come deve essere immediatamente evidente che in Italia valgono le leggi italiane, non essendo minimamente disposti a tollerare costumi e condotte che contrastino con quelle. Anche quando pretendono d’avere radici religiose. Spesso ce ne dimentichiamo anche noi, come dimostrano le ottusità sull’omofobia o il femminicidio, ma la libertà e la sicurezza hanno a che vedere con i diritti e i doveri (si dimenticano sovente, i doveri) dell’individuo, non dei gruppi, delle etnie o dei generi, sicché non si può limitarle supponendo possibili sotto-insiemi di umanità particolare. Chi non accetta o non tollera le nostre libertà, quindi i diritti e i doveri da noi vigenti, se ne stia a casa propria.
Pubblicato da Libero