La forza delle armi può ben essere usata, purché si usi prima la testa. E’ ridicolo il pacifismo multicolore, come se a chi scanna e stermina si possa offrire un fiore. Ma è preoccupante che si dichiari guerra nel fine settimana e s’inviti alla calma e al negoziato già il lunedì mattina. Quel che abbiamo combinato in Libia è un doppio errore, ma quel che è successo è che la guerra la stanno facendo gli egiziani. A noi, mi par di capire, l’egiziano al-Sisi ha chiesto di prendere tempo. Menare un po’ a spesso l’Onu. Superato l’imbarazzo, vediamo a cosa ci conviene puntare.
Prima di tutto cerchiamo di capire. Le guerre di potere non sono necessariamente di religione. Le guerre di religione sono sempre anche guerre di potere. In questo secondo tipo rientra la guerra interna al mondo islamico. Potremmo considerarcene estranei, se non fosse che ne siamo i bersagli, come anche i nostri interessi nell’area in cui s’espande lo Stato islamico (Is, non più Isis, almeno cerchiamo di non sbagliare il nome del nemico). Non siamo estranei anche per un altro motivo: se la Libia è così facilmente aggredibile lo si deve alla sconsiderata guerra del 2011, scatenata dai francesi e cui fummo costretti ad aggregarci.
Da subito dopo la morte di Maometto il mondo islamico è diviso in sunniti e sciiti. Chi considerava Abu Bakr il continuatore, e chi invece Ali Ibn Abi Talib. Califfo, in arabo, significa: successore. L’intera storia è interessante, ma non pertinente con quel che ora succede. Quelli di Al-Quaeda sono sunniti, animati da un fondamentalista wahabita (Bin Laden) che li porta a colpire il satana occidentale. Gli effetti sono noti. Quelli dell’odierno califfato (che per un musulmano è anche una bestemmia, perché, dato che questo non è certo un trattato di teologia islamica, è bene aver chiaro che sono loro i bestemmiatori della propria divinità) sono anch’essi sunniti, ma si sono dati come missione quella di cancellare la (dal loro punto di vista) scissione sciita. Quindi sono due guerre: una fra sunniti, per stabilire chi ha la guida dei fedeli; l’altra fra una parte dei sunniti e gli sciiti. Per capirsi: Abu Bakr (nome non di nascita, ma preso perché quello del primo dopo Maometto) al-Baghdadi è sunnita, mentre gli iraniani che vogliono la cancellazione di Israele dalla carta geografica sono sciiti. Inutile, pertanto, cercare di dividerli in buoni e cattivi. I buoni ci sono, fra gli islamici, ma i contendenti fanno a gara a chi li scanna, impala e lapida prima.
Noi abbiamo tre buoni motivi, per intervenire e far guerra a questa gente: 1. perché loro la vogliono fare a noi, quindi meglio prevenirli; 2. perché commettono crimini contro l’umanità; 3. perché in quelle aree abbiamo legittimi interessi economici e strategici da difendere. Escluso che noi si possa combattere e vincere contro tutti i contendenti, però, sarà bene avere chiaro che chiunque sconfiggeremo (ad oggi i candidati all’essere massacrati sono quelli del califfato) avremo fatto un piacere ad altri cattivi. Ragione per cui è bene tenersi pronti, ma è meglio avere le idee chiare su dove si va, cosa si fa e cosa s’intende ottenere.
Non ha senso minacciare tre volte la guerra (Renzi, Gentiloni e Pinotti, che indica addirittura l’entità delle truppe), per poi dire che si deve ragionare e attivare tutti i canali diplomatici. Calma e gesso va bene, il tira e molla assai meno. Gli egiziani si sono visti sgozzare ventuno loro cristiani, copti. Non hanno perso tempo a hanno reagito bombardando. Usando aerei senza insegne e, già che c’erano, colpendo postazioni della fratellanza musulmana. Bene. Noi che si fa? Intanto ci si compiace. Poi li si aiuta: in Libia ci sono molti lavoratori egiziani, che devono scappare via; il modo più veloce per farlo è via mare; chiediamo noi all’Onu, anziché la coalizione di guerra, una forza d’interposizione e un campo raccolta profughi. Perché tali sono, mica migranti. Questo ci aiuterebbe a discriminare fra profughi, coperti da convenzione internazionale, e potenziali clandestini. Al tempo stesso sarebbe un segnale agli egiziani: non siete soli e un paese musulmano che va a bombardare per dei cristiani sgozzati merita più che una pacca sulle spalle.
Si dirà: ma non sono gentiluomini volterriani, questi egiziani. No, non lo sono. Meglio loro, però, di chi è andato a lisciare il pelo alla fratellanza mussulmana e di chi ha fatto fuori un altro despota, Gheddafi, per poi lasciare campo libero a macellai fanatizzati, pronti ad aggredirci.
Pubblicato da Libero