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Fra insediamento del nuovo Parlamento, elezione dei presidenti, avvio di pur veloci consultazioni, incarico, giuramento, dibattito parlamentare e fiducia, il nuovo governo, se tutto va bene, si ritroverà attivo nella seconda metà di ottobre. Piuttosto verso la fine. Anche agendo in continuità con il governo attualmente in carica, come è ribadito proponimento del partito in vantaggio, alla guida della coalizione in vantaggio, la legge di bilancio subirà un qualche ritardo e sarebbe strano fosse radicalmente diversa da quanto fin qui predisposto. E, del resto, si avvierebbe verso la fine un anno i cui numeri sono positivi e come tali saranno confermati. Ed è qui che arrivano i guai.

Si va ripetendo che il futuro governo erediterà una situazione difficilissima e dovrà muoversi fra le macerie. Se così fosse alcuni dei futuri governanti si ritroverebbero fra gli odierni produttori di macerie. Se così fosse non si capirebbe perché chi è oggi in vantaggio ci tiene a tranquillizzare tutti circa la continuità costruttiva, non promettendo discontinuità distruttiva. Difatti così non è, anche se da destra a sinistra, da sopra e da sotto si prova a descrivere l’Italia come disastrata e senza manco la canna del gas. L’anno che si chiuderà avrà prodotto ricchezza, ma già oggi sappiamo che l’anno prossimo viaggeremo ad una velocità decisamente più bassa, con una previsione di crescita dello 0.9%, rispetto al 3.4 (e forse qualche cosa in più) che agguantiamo oggi. A questo si aggiunga che i tassi d’interesse europei (1.25%) restano ben più bassi di quelli inglesi (1.75) o americani (2.50), quindi siamo ancora in politica monetaria espansiva, ma la tendenza è a vederli crescere, per contenere l’inflazione, il che comporta un maggiore costo dei debiti e, quindi, dell’eventuale (si fa per ridere) rispetto delle promesse elettorali.

La domanda è: se ci descriviamo come disastrati fra le macerie nel mentre ancora si cresce a un ritmo sostenuto, che succederà quando sarà scemato? o quando ci toccasse una decrescita, alias recessione? se in questa fase non si fa che promettere aiuti e sostegni, manco fosse il 1929 e ci fossero le file di affamati con le gavette in mano, che succederà quando l’inflazione dovesse mordere troppo i risparmi e la mancata crescita non genererebbe ricchezza da distribuire?

A quel punto può succedere che chi si troverà al governo scopra la virtù dell’incoerenza, sicché non farà quel che aveva promesso, oppure succede che il governante tiene alla propria coerenza, fa quel che disse, quindi aumenta ulteriormente l’enorme debito pubblico. Nel secondo caso scassa le finanze. Nel primo scassa la credibilità. Ed è questo quel che oggi è visibile a occhio nudo: si può parteggiare, tifare pro e contro, ma la credibilità di ciascuno la si deve cercare con la lente d’ingrandimento, ove non con il microscopio. E, del resto, l’esperienza vale qualche cosa, pur in un Paese senza memoria. Non è affatto un caso che a ricrescere di più, rispetto allo sprofondo della riduzione a un terzo, è un Movimento che difende un atto governativo frutto della propria coerenza, ovvero il reddito di cittadinanza, che è, al tempo stesso, una spesa enorme e un non meno grandioso fallimento. Perché tale è, non per chi lo avversava in quanto negativo, come me, ma per chi lo ha voluto e sostenuto, secondo cui sarebbe stato lo strumento delle celeberrime ed evanescenti “politiche attive del lavoro”. Che non si videro.

Le macerie vere sono più politiche che economiche, più culturali che produttive. E se non si rimedia a quelle gli sconfitti di oggi saranno gli irresponsabili di domani e i governanti di dopodomani. Non se ne esce gli uni contro gli altri armati, giacché sono quelle armi, demagogiche, a produrre macerie. È comune interesse di chi dovrà governare e di chi, opponendoglisi, vorrà poi tornare a governare riportare lo scontro sul terreno della realtà. Perché a prender voti inneggiando alle macerie si ottiene un solo risultato: la moltiplicazione delle macerie.

Davide Giacalone, La Ragione 10 settembre 2022

www.laragione.eu

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