Politica

Maggioranza occulta

Questa mattina, entrando alla Camera dei Deputati, il presidente del Consiglio si troverà davanti due maggioranze. Una è quella formatasi nell’aprile del 2008, da cui è nato il governo ancora in carica, l’altra è data dallo sbriciolarsi delle alleanze marginali, che liberano parlamentari vaganti. La prima è entrata in crisi con la secessione finiana, la cui miccia, però, al netto dei mattoni monegaschi e delle bugie a cielo aperto, fu srotolata dallo spostamento del baricentro politico a favore della Lega. Miccia poi accesa dal lavorio di un’Italia istituzionale che non ha mai accettato, come non lo accettò in passato, il responso delle urne. Guai a dimenticare ciò, altrimenti si rischia di credere che la soluzione dei nostri problemi possa trovarsi al principesco catasto o nell’oramai celeberrima isoletta per evasori fiscali. Così come son guai a dimenticare un dettaglio: il centro destra, due anni fa, vinse le elezioni grazie al sud. La seconda maggioranza è endemicamente in crisi, nel senso che alla faglia fra i due schieramenti le porte sono girevoli, sicché si può entrare ed uscire con il medesimo slancio. Nessuna delle due maggioranze, insomma, offre alcuna garanzia di stabilità. La puoi sfangare una volta, o più, ma sai per certo che scivolerai. Quest’oggi le due maggioranze si sommeranno, senza per questo divenire una sola.

Ce n’è una terza, di maggioranza, occulta. La si scorge sia nei risultati elettorali che nella composizione del Parlamento, composta da elettori ed eletti riformisti e moderati, gente normale che non chiede alla politica di guidarci tutti verso il bene e l’avvenire, ritenendo un buon successo l’amministrare saggiamente la cosa pubblica e non massacrarci il presente con risse da cortile. Il guaio di questa maggioranza è che non conta nulla, si comporta come un’infima minoranza e quando qualcuno s’accorge della sua esistenza altro non gli viene in mente che sperare in un “grande centro”, confondendo il moderatismo e il riformismo con l’impaludarsi tardodemocristiano.

Se Silvio Berlusconi punterà sulla prima maggioranza dovrà riuscire a provocare una secessione nella secessione, riducendo i finiani all’irrilevanza. Ove mai ci riuscisse, resterebbe il problema delle commissioni parlamentari e della loro attuale composizione, che rischia di porre il governo ripetutamente in minoranza. Non andrebbe lontano, quindi. Se punterà sulla seconda avrà ottenuto subito la superfluità degli scissionisti, ma pagando il prezzo di una congenita instabilità e rischiando d’aggravare quel che un Gianfranco Fini più lealmente alleato e meno lateralmente sobillato avrebbe potuto correggere, vale a dire il pencolare troppo dalla parte dei leghisti. Inoltre, se sceglierà la maggioranza frizionale avrà autorizzato, per il futuro, ogni cambio di maggioranza e di governo, con un bel marameo agli elettori e alla stabilità. Anche da questa parte, pertanto, non c’è aria di durare a lungo. Se scegliesse di rivolgersi alla terza maggioranza, quella occulta, dovrebbe farlo mettendo sul piatto non una compravendita sbrigativa, ma una transazione impegnativa: le modifiche costituzionali. Nella speranza di trovare interlocutori non definitivamente molluschizzati dal bipolarismo isterico e berlusconicentrico.

Se si assume di trovarsi di già in una Repubblica presidenziale, con un sistema politico bipolare, la conseguenza è una sola: Berlusconi ci faccia vedere come governa e si regga in piedi grazie all’alleato Fini. Se non ci riesce e cade vuol dire che ha fallito. Gli piace questo gioco? Immagino di no, ed ha ragione, perché il presupposto è falso: la nostra Costituzione è concepita per il proporzionale e per governi parlamentari, tendenzialmente impotenti. Gli elettori sono assai più bipolaristi del sistema politico, come hanno dimostrato non premiando l’Udc alle scorse regionali, come dimostrarono alle elezioni europee. Ma il bipolarismo esistente è fasullo, perché contiene tutto e il suo contrario. E un bipollarismo, nel senso che sono nati pollai da ambo le parti. Tutto questo mette in minoranza la maggioranza occulta, riducendola all’irrilevanza. Ove voglia rivolgersi a questa deve essere capace di tracciare il tragitto che ci porti fuori dalla mai nata seconda Repubblica e apra le porte della terza.

Lo si può fare in Parlamento e in questa legislatura, sebbene le premesse non siano promettenti. Lo si può fare indicando nell’ineludibilità delle riforme istituzionali la vera ragione per cui la legislatura deve finire anticipatamente, in modo da lasciare lo spazio per una nuova stagione costituente. Quel che non si deve fare è accontentarsi di tanti piccoli passaggi verso il non si sa dove, che condurrebbero ad una fine lunga e insignificante, quindi inutile.

Dubito che tale nodo sarà sciolto oggi, ma escludo che si sia in grado di andare in una quale che sia utile parte se non si avrà il coraggio e la lucidità d’affrontarlo.

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