Da una parte ci sono i puristi del sistema democratico, quelli che affermano, con invidiabile sicurezza, che le democrazie funzionano se due diverse formazioni politiche, non importa se partiti o coalizioni, si alternano nella gestione del potere.
Lo dicono senza prestare attenzione al fatto che l’Italia, nel corso della sua storia, non è mai stata bipolare (e quando ha provato ad esserlo ha partorito tragedie). Lo dicono incuranti del fatto che, ad adottare un simile metro si dovrebbe collocare un cinquantennio di Repubblica fuori dalla democrazia.
Da un’altra parte vi è la politica quotidiana, e la relativa cronaca. Ad osservarla ci si rende conto che non passa giorno senza che all’interno delle due coalizioni politiche alternative, l’Ulivo ed il Polo, si manifestino presenze disgregative di ambedue le coalizioni. Per carità, a parole tutti (o quasi) fanno professione di fede bipolarista ed antiproporzionalista, ma, nei fatti, diuturnamente si adoperano per frammentare, anche se ogni frammento nasce al nobile scopo di unificare.
Come non bastassero le spinte disgregatrici interne, vi sono quelle esterne. Rifondazione comunista rimane una forza che non aderisce all’Ulivo, ma senza la quale l’Ulivo non vince. La Lega rimane una formazione politica che ipoteca, nel nord, una fetta consistente dei consensi.
Al fondo di questa solare contraddizione vi sono due ulteriori contraddizioni : una istituzionale; l’altra ideale, direi etica.
La contraddizione istituzionale sta nel fatto che si vorrebbe una democrazia in cui gli elettori votano per indicare il premier e la coalizione che deve governare, ma, di fatto, non si ha né l’una, né l’altra cosa. Pertanto si procede per approssimazioni. Anzi, non si procede, si recede : l’annunciata intenzione dell’onorevole Berlusconi di “fare come D’Alema”, cioè di essere il capo di una coalizione, ma non il candidato al governo, è, appunto, un recesso dal meglio al peggio (dal punto di vista istituzionale, si intende).
Si vorrebbe vivere in un sistema maggioritario, ma si ha un sistema elettorale che consente le vittorie a chi si frammenta e pratica la desistenza. Realtà originaria che poi provoca la transumanza degli eletti, in via semi permanente, o mediante prestiti (senza interesse, immagino).
Alla meta maggioritaria non si giungerà mai se non si adotteranno gli strumenti istituzionali che, partendo dalla situazione data, muovano la realtà in quella direzione. Il che significa, ad esempio, che serve a poco invocare il sistema elettorale inglese, dacché ciò equivale ad invocare la storia inglese, essa si bipartitica. Si possono scegliere strumenti originali, purché non variopinti e fantasiosi. A me rimane la convinzione che la cosa più simile all’Italia di oggi, nella storia contemporanea, sia il passaggio dalla quarta alla quinta repubblica francese. Propiziato, il passaggio, prima dall’adozione del doppio turno elettorale e poi dall’elezione diretta de capo dello Stato (e di mezzo c’era un signore chiamato De Gaulle).
La seconda contraddizione è tutta interna alla cultura italiana di questo secolo : affermare la legittimità esclusiva della convivenza dei diversi; perseguire la delegittimazione morale dell’avversario. Come si vede, due approcci sommamente illiberali.
Essere parte è considerato un peccato, rappresentare interessi di parte quasi un reato. E’ “buono” chi si fa carico degli “interessi generali”. Chi stabilisca quali siano non è chiaro. Una coalizione presentabile, quindi, deve consentire la convivenza e la riconoscibilità di interessi diversi, talora contrapposti, salvo giungere ad una sintesi che, però, non è programmatica, ma programmaticamente elastica in modo da conquistare la maggioranza dei consensi. Difficile immaginare qualcosa di più distante dalla democrazia bipolare.
La quale richiede una seconda precondizione : tutti i soggetti devono essere parimenti legittimi. Solo un distratto può pensare che questa sia la condizione italiana, dato che l’iniziatore reale del bipolarismo possibile (sia detto come fatto, non come giudizio), ovvero l’onorevole Berlusconi, è stato sottoposto alla demolizione morale della sua iniziativa per : a) avere creato una coalizione disomogenea (cosa che, dall’altra parte, diviene un pregio); b) avere fatto politica per interessi personali (cosa di cui nessun democratico ha mai dubitato, di se stesso e degli altri); c) per (e questo è un capolavoro) avere rappresentato ceti impresentabili (?!); d) avere problemi con la giustizia; e) non essere l’unico leader della coalizione (ed anche questa è bella).
Se questi fossero i punti forti di una propaganda di parte, pur rimanendo ineleganti e prepolitici, non si avrebbe motivo di preoccuparsene. Ma questa roba la si trova scritta sui principali quotidiani d’Italia, la si ripete come “vera” perché ripetuta, il tutto mentre nelle Aule di giustizia albergano, al posto dei codici, i bastoni e le carote (oltre alla dimenticanza ed all’omissione).
Basta o non basta, per non dare per acquisito un bipolarismo che (ancora) non c’è ?