Quella dei bonus è un’epidemia inarrestabile. Anche quelli che vantano l’averne cancellati poi si abbandonano alla lussuria del crearne. Le ragioni per cui i bonus sopravvivono alle bonifiche sono due, una aggravante dell’altra: 1. ci sono sempre un buon motivo e una buona causa per cui regalare a qualcuno i soldi di altri (non di quelli che fanno il regalo); 2. elargire quel regalo serve a farsi perdonare l’essere incapaci di fare altro.
Se si concepiscono bonus per gli asili, per le mamme o per i vecchi – compiendo così il ciclo vitale del finanziato a vita – chi può avere cuore di negare l’obolo ai bimbi o ai vegliardi? L’incontestabilità della motivazione fa quindi da paravento alla mancata contabilità dei costi. Tralasciando di occuparsi dei costi, si provvede a far dimenticare che non esistono le cose gratis ma soltanto le cose che pagano altri. E quando si paga con una mano sul cuore, un occhio sull’urna elettorale e le mire sui portafogli altrui, si sa come si inizia e non si sa come si finisce.
L’ultima caritatevole trovata riguarda i vecchi, che la buona creanza impone di chiamare anziani e che la convenienza definisce poveri.
L’idea di partenza era quella di dedicare loro un miliardo di euro. I destinatari avrebbero dovuto essere persone al di sopra degli 80 anni, con un Isee inferiore a 6mila euro, non autosufficienti e a partire dal 2025. Per quanti ci arriveranno. Il bonus dovrebbe essere di 850 euro al mese, che si sommano ai 530 incassabili per l’accompagnatore per un totale quindi di 1.380 euro al mese. Platea immaginabile: 26mila persone. Con che cuore si può negare loro un aiuto? Già, ma come si pensa possano campare con quei soldi in quelle condizioni, dovendo anche pagare una persona adibita alla loro cura? Considerata la leva demografica, dato per scontato che anziani lo saremo in numero sempre maggiore (nel migliore dei casi e facendo gli scongiuri), forse varrebbe la pena di pensare a qualche cosa di più strutturato e meno caritatevole, che per giunta costa meno ed è meno straziante di avere migliaia di non autosufficienti abbandonati a sé stessi. Ma il futuro, com’è noto, non vota e non rilascia dichiarazioni.
Dunque si arriva al Consiglio dei ministri e si porta il provvedimento all’approvazione. Ma sorge qualche problema. Posto che esiste un’età pensionabile, si diventa vecchi dopo quella o soltanto da ottuagenari? Perché gli ottuagenari sono 3,6 milioni, mentre gli over 70 sono più di 6 milioni. Considerato che il 40% di quanti hanno più di 70 anni dichiara al fisco un reddito annuo lordo inferiore ai 15mila euro e tenuto presente che il calcolo Isee riduce quelle soglie, va a finire che i potenziali beneficiari e il potenziale costo sono decisamente più alti. Al Ministero dell’Economia hanno calcolato che sarebbero necessari non 1 ma 4 miliardi. Aggiungendo una cosa curiosa e non beneaugurante: la misura sarebbe ‘sperimentale’, valida per due anni. E dopo? A quel punto gli amuleti non bastano. Ma perché 2 anni e non 1 o 3? La mente corre al Pnrr e alle sue scadenze, quindi al sospetto che abbiano trovato la buona ragione per usare una porzione di quei quattrini. Solo che dovrebbero servire per impostare un futuro di crescita, mentre dopo due anni di bonus ci si ritroverà esattamente come prima e – si spera – con gli stessi anziani indigenti e non autosufficienti di prima. Se si investe in asili e residenze per anziani non si ha una soluzione immediata, ma stabile e utile per il futuro. Se si spende in bonus asili e badanti ci si dimostra subito attivi, ma strutturalmente inutili.
Intanto occorre avvertire il 60% degli anziani e la totalità dei giovani, nonché quei 5 milioni di contribuenti che da soli pagano più di quel che costano, che ci sarebbe un altro conto da saldare. E che rifiutarsi di farlo li qualificherà come egoisti, privi di morale e affamatori di sfortunati. O, magari, come persone che ancora credono che il buon senso non possa essere incenerito nel rogo appiccato da fasulle buone intenzioni.
Davide Giacalone, La Ragione 13 marzo 2024