Politica

Manca la classe

Una nuova classe dirigente nasce quando si affermano nuove idee, o quando la storia imbocca nuove vie. Quelli che attendono di sostituire i predecessori, prendendone il posto, non sono una nuova classe dirigente, ma la continuazione della precedente. Il senso di vuoto che si vive, in Italia, lo si deve al non vedere nulla di tutto questo. Non se n’è trovata traccia, del resto, nello scontro durissimo, interno alla maggioranza, relativo al lavoro di Giulio Tremonti. Quel che ha fatto non poteva farlo diversamente (quindi lo ha fatto bene), e quel che non ha fatto non è una mancanza sua, ma una debolezza politica del governo. Polemiche, quindi, più che inutili o dannose: prive di futuro.

La sinistra è impantanata nel non aver saputo fare i conti con la storia della sua componente più forte e determinata. La destra dal non sapere guardare oltre una leadership che s’è dimostrata fortissima nell’interpretazione dell’Italia, ma debole nella sua trasformazione. Sembra uno scherzo, nel 2011, che si parli di “comunisti”, invece è un incubo che ancora popolino, tutti quanti, senza altra defezione che i morti, la sinistra. Incapaci di dire una sola parola decente sulla loro storia, su loro stessi. Così com’è un maleficio la sorte toccata alla destra, che dal 1994 ad oggi continua a prendere la maggioranza relativa dei voti, ha nel carniere due legislature di governo, ma la collana di realizzazioni, pur importanti, ha perso il filo del disegno unitario, spargendo i pezzi un po’ a casaccio.

Il dibattito interno alla destra, la cui sola esistenza dimostra l’assenza di dispotico dominio, s’arrovella ancora sul come gestire il tempo del berlusconismo, non su come andare oltre. Quello interno alla sinistra s’incarta sul come sopprimere il berlusconismo senza sperare di batterlo elettoralmente. Talora cedendo al delirio, spessissimo calpestando quel che di buono c’era nelle loro radici culturali. Il terzopolismo, del resto, anziché puntare a battere entrambi questi immobilismi ne è l’ulteriore suggello, perché ancora intento a soppesare le alleanze. Nessuno parla al Paese, se non per sollecitare l’avversità verso altri.

Non migliore è la condizione degli intellettuali. Fanno ora capolino analisi sulla contrapposizione, apparentemente insensata, delle tifoserie, con qualche traccia di riflessioni storiche. Bravi, sono cose che scrivevamo anni addietro. Il punto è questo: un Paese che mente sulla propria storia diventa pazzo. Le ultime menzogne riguardano il biennio 1992-1994 e i governi presidenziali che accompagnarono le privatizzazioni (e non solo, come abbiamo dimostrato parlando del 41 bis). L’appello al rivolemose bene cadrà dove merita, se non riparte da lì.

L’Italia d’oggi ha un peso internazionale diverso (dico diverso, né maggiore né minore) da ieri perché è cambiata la geografia politica. Marcegaglia dice che gli imprenditori sono stati lasciati soli, il fatto è che siamo noi italiani ad essere più soli, più affidati alle nostre scelte che non alla mappa degli interessi e dei confini. E non ci facciamo buona compagnia.

Riconosceremo la nuova classe dirigente quando sarà in grado di partorire uomini non disponibili a raccogliere le briciole dei predecessori, che non si candideranno a delfini, sembrando tonni, ma avranno la forza di dire che si deve cambiare gioco istituzionale, dotarsi di governi forti, dare un senso al voto popolare, scegliere il decidere piuttosto che il concertare, il procedere sul fermarsi a parlare. La vedremo quando sarà capace di cogliere l’unitarietà di pensiero, politica e mercato produttivo, proponendosi ai cittadini quale interprete di un nuovo libro. I capitoli tematici li compitiamo da tempo, non è il “cosa” fare che manca, è la consapevolezza che non si può aspettare. Non ci si deve chiedere il “chi”, che verrà, ma il “quando”, che tarda ad arrivare.

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