Politica

Manine e testoni

Lo avevamo scritto il giorno in cui il presidente del Consiglio decollava verso il Canada, con il programma di rientrare i 7 luglio: riusciranno a fare un guaio, se affidati a sé stessi. Ci sono riusciti. Che bisogno c’era, tanto per dirne una, di tornare a parlare del lodo Alfano nel mentre è ancora aperta la piaga delle intercettazioni? E se è naturale che ci sia frizione con le Regioni, mentre si varano i tagli alla spesa, che bisogno c’è di alternare le aperture al dialogo con la sconfessione di Roberto Formigoni e la condanna degli amministratori del sud, quasi tutti del centro destra? Non entro nel merito, ma lo capisce chiunque che, in questo modo, si trasforma la maggioranza in un insieme di trincee da cui ci si spara addosso vicendevolmente.

Certo, il Presidente della Repubblica ha detto più di quel che la Costituzione e la ragionevolezza consentono. Noi lo abbiamo scritto, senza far sconti. Ma è anche vero che la maggioranza ha tutto da perderci, in uno scontro con il Quirinale che non tiene conto di quanto quella sponda sia necessaria per condurre in porto almeno la metà delle imbarcazioni che affondano in un Parlamento colmo di conflitti e vuoto di forze politiche.

Il clima internazionale, nel quale Silvio Berlusconi s’è trovato immerso, non è dei migliori. I mercati valutari vivono un attimo di sospensione, con la speculazione che non ha deciso da che parte indirizzarsi. Se decidesse di puntare ancora contro l’euro noi saremmo immediatamente esposti. E gliene importa un accidente che la colpa dei debiti sia della Calabria o della Campania, governate da chi non ha avuto ancora il tempo di sbagliare. Nessuno ci tenderà una mano, se ci prendessero di mira, anche perché molti hanno gli arti mozzati. A questo s’aggiunga che qualche frequentazione ad est ci procura rapporti sospettosi ad ovest.

Non paghi di ciò, ci siamo abbandonati alla solita discussione su quanto siano mafiosi quelli che governano, tanto per rendere più complicata la navigazione internazionale. Non riesco a credere che non ci si renda conto di quanto sia pericoloso continuare a discutere, in modo generico e allusivo, privo di coscienza e competenza, sull’ipotesi che qualcuno, a nome dello Stato e per conto di taluni suoi occupanti, abbia trattato con la mafia. E’ da escludersi che a muovere tante bocche sia solo l’incoscienza esibizionista. Ha ragione Giuliano Amato, quando sottolinea che bisogna decidersi: o si prendono le sentenze come oracoli oppure si ragiona politicamente, ma non si possono fermare le riflessioni rimandando alle sentenze e disconoscere le sentenze perché incoerenti con conclusioni politiche. Ha ragione. Aggiungerei che la deviazione è ancora più forte, perché molte interpretazioni politiche si basano su ipotesi d’accusa smentite da sentenze, che prima sono considerare “vere” perché contenute in carte giudiziarie, e poi salvate dall’avvenuta bocciatura assumendo che contro queste si sono mosse entità potentissime e impenetrabili.

Nel 1992, quando cominciò la stagione stragista della mafia, Amato era presidente del Consiglio. Né allora né dopo ebbe sentore né di una trattativa in corso né di un possibile colpo di Stato a quella legato. Credo abbia ragione. Una pubblicistica mediocre ha sostenuto che le stragi servirono per intimidire gli italiani e indurli a prendere la difesa di un sistema politico che stava crollando. Peccato che avvenne l’esatto contrario, visto che le bombe contribuirono al crollo. La stessa pubblicista sostiene che i mafiosi colpirono alla grande per avere una legislazione di favore. Già, ma, anche qui, successe l’esatto contrario, con l’indurimento del regime carcerario e le forzature (terribili) del diritto per non liberare i boss mafiosi. Quel tipo di lettura, insomma, è una buffonata a cielo aperto, priva non solo di prove, ma anche di logica e di rispetto della realtà. E allora?

Concordo con Amato anche nell’osservare che le bombe mafiose del 1993 non solo erano fuori dal normale costume di questi criminali disonorati, ma anche dagli interessi, ragionevolmente interpretabili, di quell’organizzazione. Ci fu un suggeritore, una mente esterna, i soliti “servizi deviati”? Invece di fantasticare si guardi la realtà, anzi, si smetta di sparare corbellerie al solo scopo di occultare la realtà. Che è la seguente: eliminando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si pose fine alle indagini serie e unitarie sulla mafia. Lo scopo fu conseguito, e la prova pratica si trova nello smembramento dell’inchiesta “mafia-appalti”, condotta dai carabinieri poi accusati d’essere mafiosi, cui Borsellino teneva tanto. A questo obiettivo, centrato, se ne unì un altro: senza modificare le leggi, ma lavorando sulla gestione del pentitismo, moltissimi criminali mafiosi, pluriomicidi, sono usciti dal carcere. Ebbene, perché si fa finta di cercare ancora la trama di una trattativa destinata a bloccare le indagini e ottenere le scarcerazioni, quando queste due cose sono avvenute sotto il naso di tutti? E sono avvenute a cura di una parte della magistratura, mentre finivano accusati di mafia i collaboratori dei due eroi morti ammazzati.

Domanda: perché, negli stessi anni, le inchieste di tangentopoli andarono avanti fra le acclamazioni, mentre quelle di mafia furono soffocate fra le bombe e il silenzio? Risposta: perché le prime avevano come vittima i partiti democratici, incapaci a reagire perché culturalmente tenuti alla difesa della legge e politicamente spompati e inebetiti, mentre le seconde avrebbero affondato le imprese e scalfito gli interessi di criminali pronti ad agire. Quella fu una coincidenza d’interessi, che ancora attende d’essere indagata.

Mi hanno colpito le parole di Beppe Pisanu, perché l’uomo non sembra parlare a vanvera, eppure ha usato parole che si prestano alla perpetuazione della bugia. Forse non se ne è accorto, ma ci sono molti che sostengono che la trattativa fra la mafia e lo Stato ci fu, ed ebbe come tramite il partito di Pisanu, lo stesso che lo portò al ministero degli interni e, ora, a presiedere la commissione antimafia. Noi che, al contrario di lui, non abbiamo alcun coinvolgimento politico e nessuna ragione di gratitudine personale, non abbiamo dovuto attendere la sentenza Dell’Utri, avendo argomentato prima sul perché quello scenario è dissennato. Lui, invece, ha atteso la sentenza per rilanciarlo. Non è una cosa normale, e neanche accettabile. E allora?

Allora ho l’impressione che qualcuno stia alimentando paure e speranze, inducendo a credere che qualche cosa di grosso stia per venire fuori. Ciò spiega l’agitarsi delle comparse, che provano a collocarsi sul palcoscenico senza aver ben compreso la trama, ma nella speranza di finire in un fascio di luce, anziché in un cono d’ombra. E ho l’impressione che, ancora una volta, come tantissime nella nostra storia unitaria, sia la politica estera, gli equilibri d’interesse, la partita energetica a dettare il ritmo della danza, mentre la politica interna offre ballerini inconsapevoli e incapaci.

Ma si può, è l’ultima domanda, danneggiare gli interessi strategici di un Paese e affondarne i protagonisti, solo utilizzando le informazioni, colpevolmente parziali? Certo. Mi viene alla mente un esempio, il nome di un conto corrente cifrato: All Iberian. Ve lo ricordate? Quel conto era stato lo strumento per finanziare la lotta anticomunista dei polacchi di Solidarnosc, da lì erano usciti soldi per i movimenti di liberazione in America Latina, da quell’amministrazione ne erano partiti (e questa la considero una colpa) per finanziare Arafat e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Nel breve volgere di qualche settimana, grazie a notizie giunte al grandioso e ammirevole pool della procura di Milano, divenne il pozzo immondo delle tangenti e il serbatoio cui attingere per consentirsi vizi e puttane. Era vero? Anche. Ma la parte più importante è quella non indagata e non raccontata. Questo mi suggerisce il ricordo. La storia è maestra di vita, ma solo se la vita non si dedica alla corruzione della storia.

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