Politica

Manovra mal manovrata

Come impiccarsi alla “manovra”. Questo potrebbe essere il titolo dello spettacolo cui stiamo assistendo. Complici attori maldestri, ma anche regole istituzionali prive di senno e ragionevolezza. La rappresentazione terminerà con l’approvazione, ma il costo sostenuto, per raggiungere lo scopo, sarà decuplo rispetto al necessario.

Il governo ha le sue colpe: se s’interviene mediante un decreto, e l’urgenza imposta dai mercati non poteva essere diversamente fronteggiata, o ci si scrive lo stretto indispensabile o, comunque, ci si scrivono cose sulle quali s’intende tenere duro. Non si emana, invece, un decreto, salvo aggiungere, qualche ora dopo, che si è aperti al dialogo e al cambiamento. Il meccanismo parlamentare ha colpe non meno gravi: quando si tratta di norme di bilancio si dovrebbe chiedere al governo, in via preventiva, se intende porre la fiducia, anzi, sarei favorevole ad una norma ancora più netta: le leggi di bilancio non sono emendabili, o si approvano o si manda a casa il governo. Da noi, invece, comincia un’insana corrida, che si trascina per settimane seminando sconcerto e disinformazione.

Il provvedimento, difatti, viene assegnato in commissione e discusso, sicché i giornali che ne avevano riassunto i contenuti si riempiono, giorno dopo giorno, di quel che gli emendamenti vanno cambiando. Moltiplicate per due, grazie al bicameralismo perfetto, che consente di moltiplicare anche per tre, quattro e così via, fin quando il medesimo testo non è approvato da ambo le Camere e otterrete il risultato cui già si è giunti: non ci si capisce più niente, con successivi annnunci di guerra e di pace, di cambiamenti e ricambiamenti opposti, conditi da refusi (mi riferisco alle pensioni) che non sono affatto tali, ma cose vere che non si ha il fegato di dire.

Cambiamenti, nell’insieme, qualche volta necessari, altre volte improvvidi, spesso insufficienti. Prendete il caso dell’immediata esecutività delle cartelle esattoriali, contenuta nel decreto e contro la quale siamo stati i primi (e inizialmente i soli) a scrivere. Si tratta di un principio abominevole, che ci fa regredire alla tradizione degli stati assoluti, oltre tutto in contrasto con una sentenza della Corte Costituzionale, risalente al lontano 1961(“La Corte è dell’avviso che l’istituto del solve et repete sia in contrasto con le norme della Costituzione e che debba essere dichiarata illegittima la disposizione che lo prevede”). Come sia potuto riemergere, a cura di un governo che si diceva contro lo stato di polizia fiscale, è un mistero, in ogni caso un grosso errore. Sul punto s’è opposta Confindustria, avendo tutte le ragioni, quindi si è giunti a un accordo: allunghiamo i periodo di possibile posticipazione dell’esecutività. Questo ho letto sui giornali. Non so se sia vero e spero proprio di no, perché la questione è semplicissima, coinvolgendo un principio elementare: il cittadino o l’azienda sono tenuti a scucire un solo tallero senza che un giudice, in via definitiva, abbia stabilito la fondatezza del rilievo fiscale, quindi dell’obbligo? Se la risposta è sì, sia pure dopo proroghe e rinvii, siamo nel campo dell’inciviltà. Punto: o di qua o di là, senza menarla troppo.

Il governo ha ragione, perché i tempi della giustizia fiscale sono troppo lunghi, quindi gli incassi incerti. Vero. Ma il compito del governo è quello di far funzionare la giustizia fiscale, accorciandone i tempi, non di taglieggiare i cittadini, in mancanza di meglio. Così procedendo ogni giorno se ne sente una e, alla fine, saremo tutti insoddisfatti. Davanti a Montecitorio ci sono manifestazioni di tutti i tipi, e non si tiene più il conto di chi ha ragione e chi no, chi ottiene qualche cosa e chi no, pertanto non fa che crescere il disagio.

Poi, alla fine, dopo avere aperto la guerra alle regioni governate dal centro destra (difese da un esponente della sinistra), il governo di centro destra presenterà il maxiemendamento, che non avrà legame alcuno con gli emendamenti approvati e sarà come presentare un nuovo decreto, all’esito del quale anche quelli che avranno incassato un successo se ne andranno con la faccia feroce. Una follia, insomma.

Questo è il tipico tema da riforme istituzionali, il problema più adatto ad essere risolto con discussioni e convergenze che superino gli schieramenti, perché quel che oggi indebolisce gli uni renderà impossibile, domani, il governo degli altri. Ma di parlare seriamente non c’è modo, e dopo la manovra mal manovrata si passerà alle intercettazioni telefoniche, quando taluni diranno che non c’è ragione di avere fretta, che, anzi, la fretta del governto è molto, molto sospetta. Alla faccia della fretta: se ne discute da due anni.

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