Oggi, a Parigi, marcia l’Europa. Potrebbe essere l’occasione per alzare la testa e guardare al futuro. Rischia d’essere sprecata, abbassando lo sguardo e annaspando nel presente. La decisione di tener lontani dalla marcia alcuni movimenti, segnatamente il Fronte di Marine Le Pen e le forze etichettate come “islamofobiche”, è un errore clamoroso. Cosa che mi pare evidente proprio perché non condivido quelle loro posizioni.
Potrebbe essere un’occasione di ripartenza per due ragioni, che sostengo senza temere l’accusa di cinismo, perché la politica si fonda sul realismo. La prima ragione è che l’Europa non può essere solo moneta ed economia. Cose vitali, certamente, ma che in esse non esauriscono la vita. Anzi: neanche la prendono, se non rette da sentimenti e ideali che hanno a che vedere con l’identità di una comunità e il sentire popolare. Non tanto l’attacco terroristico islamico in sé, quanto il tipo di sfida che pone al nostro mondo, alle nostre leggi, ai nostri ideali, è una più che buona ragione per riaffermare che l’Europa è e non può che essere anche in quelli. I governanti europei non possono ritrovarsi fianco a fianco solo per ricordare dei morti, giacché essi hanno ineludibili doveri verso i vivi.
La seconda ragione è che, al di là della cruda violenza, i terroristi islamici che hanno gettato Parigi nel terrore hanno dimostrato: a. di essere dei totali cretini, animati da concetti demenziali, intellettualmente sottosviluppati; b. di non avere avuto alcun supporto logistico. La loro potenza distruttiva è stata più il riflesso dell’incapacità e dell’impreparazione delle forze francesi che non il dispiegarsi di lucida freddezza e organizzazione. A questo si aggiunga che la preventiva segnalazione dei servizi algerini suggerisce l’esistenza di crepe profonde non solo nel mondo islamico (che sono evidenti e ne scrivevo ieri), ma anche dentro l’area del fondamentalismo e del proselitismo fatto nel nostro continente.
Su questi due elementi si può fondare una risposta coordinata ed europea, capace di far ripartire efficacemente l’iniziativa politica e affiancare quella della repressione militare e poliziesca. Da non abbandonarsi mai. Per questo è imperdonabile l’errore dell’esclusione. Certi movimenti, certi sentimenti sono presenti in tutti i paesi europei, basandosi sulla sensazione che l’ubbia del volersi mostrare tolleranti a sproposito abbia finito con il subordinare gli interessi di una fetta degli europei a quella di una fetta di sopraggiunti. Vissuti come invasori. Abbiamo il dovere di mettere numeri e ragioni in campo, per dimostrare che così non deve essere, ma abbiamo parimenti il dovere di non chiudere gli occhi, di non negare questo fenomeno, che è grande e crescente, di non dare l’impressione che per blandire il multiculturalismo si possa maledire e bandire paure e dolori che ci sono. E con cui si devono fare i conti.
Il ricordo dei morti poteva essere la buona occasione per tenere assieme tutte queste cose, dimostrando che la grandezza delle democrazie consiste proprio nell’affiancare quel che è diverso, determinate a far valere la forza dei consensi e non quella dei tagliagole. Si doveva lasciare, semmai, a Le Pen l’onere di non esserci o di essere altrove. Invece ho la pessima sensazione che un fallito e fallimentare François Hollande pensi sia furbesco approfittarne per prendersi un vantaggio. Con ciò dimostrando una miniaturizzata consapevolezza di quale partita si stia giocando. Con ciò incarnando la malattia che ha preso le classi dirigenti europee, ripiegate in una cura cieca di miseri interessi personali e prive di visione storica.
Si sentiranno ancora sciocchezze conformiste, come: “siamo tutti Charlie”. Laddove la nostra forza è in un concetto ben diverso: non solo non siamo tutti Charlie, ma rivendicando il diritto di dissentire dal loro modo di comunicare e da quel che sostenevano, così come siamo tutti pronti a morire perché quella loro libertà sia assicurata. Se a morire sono stati loro è anche perché di questa chiarezza non si è stati capaci.
Pubblicato da Libero