Peggio non poteva essere gestita e peggio non poteva andare. La vicenda dei due marò segna una grave rottura nei rapporti fra l’Italia e l’India, a tutto danno nostro. Non credo le autorità indiane si dispiacciano per la scelta tardivamente e malamente fatta dal nostro governo. Anzi, penso che ce li abbiano mandati due volte in “licenza” (ma quando mai s’è visto che i detenuti all’estero vadano in licenza di settimane per Natale e per votare?!) nella poi non tanto segreta speranza che ce li tenessimo. Così risolviamo il loro problema e affondiamo sia i nostri interessi che la nostra rispettabilità internazionale.
L’incidente, che portò alla morte di due pescatori indiani, risale al 15 febbraio 2012. Esclusa la volontà omicida, che non ha senso, e pur volendo considerare responsabili i due militari, la cosa andava affrontata in sede diplomatica. E’ capitato anche a noi italiani, che non abbiamo processato, ma restituito a paesi amici loro militari che avevano provocato morti civili (Cermis, per chi avesse la memoria corta). Il governo italiano mandò il ministro degli esteri e il suo arrivo nella capitale indiana non poteva che significare l’accordo perché fossero le nostre autorità a processare i due militari. Avvenne il contrario, e fu uno schiaffo. Così forte e sonoro che era evidente quanto ci fosse dell’altro, dietro la contestazione delle responsabilità specifiche. Cominciammo ad avvertirlo il 9 marzo del 2012, per poi dire, con chiarezza, che la partita vera non poteva che essere altra: gli affari di Finmeccanica. Da lì in poi cominciai a definire “ostaggi” i due marò.
Il compito del governo, per preservare sia i nostri interessi, che la nostra dignità, che la sorte dei due detenuti, era quello di affrontare direttamente la sorgente del problema. Se nulla vi era, da parte nostra, da contestare a Finmeccanica, allora si doveva far sapere al governo indiano che consideravamo una grave offesa quel genere di condotta. Se, invece, il governo aveva motivo (forse è meglio usare il plurale: motivi) di ritenere ci fossero delle irregolarità, nel comportamento di Finmeccanica, allora doveva decapitarla e con quella testa presentarsi agli indiani. In ogni caso, andava fatto subito, senza imbarcarsi nel grottesco delle perizie balistiche.
Non fu fatto nulla. Finmeccanica è stata poi decapitata, ma dalla magistratura. Il ricambio, ammesso che sia tale, non solo non ha avuto alcun significato nei nostri rapporti con l’India, ma neanche ci ha tolto i problemi della compromissione con la politica (si veda la vicenda del direttore generale che cerca finanziamenti per l’ex moglie del ministro dell’economia). Una gestione disastrosa.
Quando, a Natale, i due militari sbarcarono in Italia, con la singolare licenza festiva, furono ricevuti manco fossero eroi di guerra. Scrivemmo che era stata una scelta dissennata, perché delle due l’una: o meritano onori, e allora si affronta lo scontro e non si fa finta di credere che sarà un tribunale a risolvere la questione; oppure si rifugge l’idea della gestione politica, e allora si mette il silenziatore. Prima prelevati, poi furono riaccompagnati con un volo militare, anche questo errore clamoroso. Dopo il loro rientro sono gli indiani a incartarsi, perché tutto il mondo è paese e il governo non può permettersi di dettare ai giudici la soluzione del problema. Così si crea una corte speciale, incaricata di giudicare gli italiani. Nel frattempo scoppia il caso degli elicotteri Agusta, società di Finmeccanica, con un disgustoso pasticcio in cui non si sa più se gli extracosti (alias tangenti) erano diretti agli indiani o erano elargiti con l’elastico, quindi tornando nelle mani dei pagatori. L’una cosa non esclude l’altra, ed è anche l’ipotesi più verosimile.
Così gli indiani ci prendono a calci, essendo noi talmente inaffidabili da fare affari, non difenderli governativamente (Finmeccanica è controllata dal governo), e disvelarli giudiziariamente. Se qualche cosa si salverà lo dovremo all’intervento inglese, che porta via anche i quattrini. E, ciliegina sulla torta, i due tornano in Italia. Per votare. Della serie: teneteveli e non fatevi più vedere.
Dicono alla Farnesina: solleviamo la questione in sede Onu. Qui, da sollevare, c’è solo chi ha gestito l’intera faccenda. Peggio non si poteva fare.
Pubblicato da Il Tempo