A legger le gazzette e ad ascoltare i bollettini, sembra che sia già cambiato chissà cosa nelle regole dell’edilizia. A sentir parlare dell’ennesimo condono – a partire da un passato così lontano da essere già stato ripetutamente percorso da condoni – c’è chi ha già cominciato a rimestare con la cazzuola e a impilare mattoni. Tanta solerzia commuove, ma bisognerà che qualcuno si sobbarchi l’ingrato compito di avvertire che trattasi soltanto di un annuncio. Che in sé ha sì qualche cosa di significativo.
Il Consiglio dei ministri ha solo varato un disegno di legge delega. Dopo che sarà stato discusso, modificato e approvato dal Parlamento (con calma e senza spingere) il governo stesso avrà un anno di tempo per redigere un testo unico relativo all’edilizia, regolante anche le eventuali regolarizzazioni di abusi già commessi (ed è sempre la solita storia: il solo annuncio li fa aumentare). A quel punto il Parlamento dovrà verificare la rispondenza del testo alla delega e la partita sarà chiusa. Per ora siamo al riscaldamento, dal che discende il pericolo che la calce che taluno sta già impastando si secchi o vada ad edificare cose che poi non potrà farsi perdonare.
La cosa significativa si trova nelle motivazioni dell’annunciata e non realizzata rivoluzione: l’edilizia è da tempo fra le materie ‘concorrenti’, ovvero quelle in cui non è chiaro il confine fra la prerogativa statale e quella regionale, tenuto presente che vi sono rilevanti competenze municipali. Ciò ha prodotto un bel caos e non poche cause che poi si traducono in conflitti d’attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Che ne è sommersa. Quindi il nobile scopo è mettere ordine e consentire a chi voglia rispettare la legge di non correre il rischio d’infrangerla a sua insaputa, mentre si deve impedire a chi la infrange di farlo a insaputa di chi dovrebbe controllare.
Bene, ma qual è il punto di caduta? In una Regione si potrà edificare quel che in un’altra è considerato un abuso?
Se la risposta fosse positiva, il cielo salvi l’Italia, considerato che per fare le regole regionali è sufficiente prendere la metà della metà dei voti disponibili. Se però la risposta fosse negativa, si dovrà pur provare a spiegare perché da una parte s’insegue il regionalismo differenziato e dall’altra si pratica il differente statalismo. Comunque la si metta, l’annuncio odierno crea un problema di coerenza con quelli di ieri e, ci si può scommettere, con quelli di domani.
Ma niente paura, perché finché restano annunci la contraddizione non crea danni.
Davide Giacalone, La Ragione 6 dicembre 2025
