Politica

Meno tasse più governo

Ridurre le tasse non è solo una promessa elettorale dell’attuale governo, è anche un’ottima idea. Serve ad incentivare la produzione di reddito ed i consumi, così spingendo l’economia verso il sentiero della crescita, evitando che si ripieghi su se stessa.

Non è l’unica ricetta possibile, in via teorica, ma il rilancio dell’economia mediante l’uso degli investimenti pubblici è difficilmente praticabile, tanto perché questa è la storia migliore, ma oramai logorata, di anni passati e lontani, quanto perché ce lo impediscono i vincoli dell’Unione Europea.

Il taglio delle tasse restituisce ai cittadini produttori di reddito la facolta di scegliere ciò che si vuol consumare, e questo è il lato positivo. Il lato negativo riguarda il finanziamento dei servizi pubblici e la necessità di non far crescere il disavanzo. Proprio perché non è privo di rischi, il taglio delle tasse deve essere accompagnato da precise condizioni politiche.

Ha funzionato in Inghilterra, ha funzionato negli Stati Uniti. Ma in tutti e due i casi vi era un governo determinato, solido, che aveva espresso in modo chiaro il proprio programma e intendeva relizzarlo. Il mercato poteva gradire o non gradire quei provvedimenti, ma sapeva che sarebbero stati presi e difesi. I cittadini potevano condividere o meno la politica del governo, ma sapevano che quella non sarebbe mutata, se non in seguito ad elezioni che avessero premiato l’opposizione (cosa che non avvenne, perché in tutti e due i casi gli elettori premiarono il governo).

Nel caso italiano, al governo non difetta la solidità numerica: la maggioranza è ampia e solita in tutti e due i rami del Parlamento. Ma la determinazione è ondivaga, la mano malferma, l’operatività intermittente. Berlusconi ha annunciato la realizzazione della promessa elettorale, ha detto che il taglio delle tasse sarebbe stato fatto subito e, non a caso, si è citato lo strumento del decreto. Da quel momento si sono levati voci diverse, all’interno della maggioranza, sostenendo tesi tanto belle quanto eteree ed inconsistenti, del tipo: non si premino i ricchi, si privilegi il ceto medio, e così via predicando quel che non è e non sarà mai un programma di governo.

Mettiamo da parte le ipocrisie. Se il sostegno all’economia non viene da investimenti pubblici ma da diminuzioni del carico fiscale, è chiaro che chi più guadagna (e lo dichiara al fisco, cosa per la quale andrebbe premiato) più ne trae giovamento. Non solo è ovvio, ma è anche giusto. Questo è il senso politico di quel tipo di ricetta. Se non piace non la si adotta, ma se la si sceglie non si deve poi agire in modo che non funzioni. Ecco, far campagna elettorale su queste cose, cercare di mostrarsi più “popolari” chiedendo sgravi fiscali per gli indigenti, è sciocco, oltre che irresponsabile.

Un governo che diminuisce le tasse deve essere anche un governo forte, capace di reggere il timone. Per avere meno tasse occorre più governo. Altrimenti si ottengono solo più evasione fiscale e più debiti. E chi, oggi, tenta la speculazione elettorale, domani sarà chiamato a pagare. Con gli interessi.

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