Politica

Mieli cvd

Paolo Mieli ed il nuovo vertice della Rai giungono a felice conferma di alcune mie opinioni, espresse assai per tempo. La prima: quando governava l’Ulivo mi capitò più volte di denunciare il nascente “regime”.

Secondo molti amici si trattava di timore del tutto esagerato, se non del tutto infondato. A me non sembrava, perché il regime, per essere tale, ha bisogno di un ingrediente insostituibile: il conformismo. E la sinistra italiana si rotola nel conformismo. Alla Rai, la sinistra, mandò uomini con una missione precisa: incensare il vincitore e demonizzare la minoranza. Se non riuscirono del tutto nel compito ciò lo si deve al fatto che erano tanto faziosi quanto incapaci.
Tornato alla vittoria il centro destra i soliti amici ammiccavano: è adesso che ne dici, del regime? Ma sì, certo, il centro destra si presta assai all’accusa, ma si presta solo nel caso ad accusare siano degli sprovveduti. Già, perché il centro destra potrà pure avere qualche cantore cretino, ma non pascolerà mai nei campi del conformismo. Chi riceve una nomina, una prebenda, un regalo da questa maggioranza occuperà gran parte del suo tempo a far cose che le siano sgradite, in modo da lucrare sia il posto che la fama d’indipendenza, nella sicurezza che, prima o dopo, sarà a sinistra che si faranno fruttare tali sudati investimenti.
Insomma, si prenda l’idea di mandare in Rai Zaccaria, e quella di mandarci Mieli. Un’altalena che oscilla fra il settarismo ed il masochismo.
La seconda considerazione: in un paese intriso di cattolicesimo la più incomprensibile delle parabole, quella del figliuol prodigo, ha pur sempre un suo fascino. Ma, attenti, tale figliuolo sarà accolto con il migliore arrosto alla sola condizione che si tratti di un pargolo allevato nella sinistra antisistema, nel ribellismo sociale, nell’opposizione a tutto quel che è ragionevole e moderato. In caso contrario, se si tratta di persona assennata fin dalla giovinezza, allora trattasi di volgare voltagabbana profittatore.
Ora, io stimo le capacità di Mieli, e la sua intelligenza. Mi pare tempo perso rimproverargli la gioventù rivoluzionaria, convertitasi nella direzione dei fogli targati Agnelli. No, non è questo il punto. Il fatto è che Mieli vuol fare troppe parti in commedia: non si può essere il direttore del Corriere della Sera negli anni della forca ed il conduttore della revisione storica, contro l’orrore forcaiolo; il tutto nel corso di un solo decennio. Ammiro la prontezza di riflessi, ma con questo pongo fine ad altre ammirazioni.
Terza osservazione: salutatemi la privatizzazione della Rai. Da questo punto di vista non aveva torto il ministro Gasparri, il quale avvertiva che nominare un nuovo consiglio (pur nello sfacelo ridicolo provocato dal precedente, sempre di nomina centrodestrista) non era di buon auspicio per la nuova legge. Il presidente Mieli, difatti, si dedicherà a due missioni: a. rivestire di legittimità politica la linea editoriale, il che significa recupero degli esiliati e resurrezione dei compagni combattenti, salvo, ovviamente, lasciare tutti gli spazi ai giornalisti dell’altra parte, che, tanto, sono di meno e meno bravi; b. non insozzarsi le mani nella lurida gara per un punto di audience, mirare in alto, alla storia ed alla cultura. Evviva. Solo che, una Rai così, non la vuol vendere più nessuno, mentre resta evidente che, all’un per cento a testa, nessuno la compera.

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