Vedo che vi è grande attenzione attorno all’attività del ministro della sanità, prof. Umberto Veronesi, e vedo che viene da più parti candidato a mantenere il posto che oggi occupa, in ragione della franchezza con cui esprime le sue opinioni. Ecco, mi piace avvertire che, proprio per questo, il prof. Veronesi è un pessimo ministro.
No, non intendo discutere questa o quella sua posizione (molte delle quali condivido, mentre alcune mi paiono avventurose e terrificantemente antiscientifiche), intendo, però, richiamare l’attenzione su un problema istituzionale e politico che troppi tendono a sottovalutare. I ministri non sono liberi pensatori indipendenti: dipendono da un programma sul quale il governo ha ottenuto la fiducia delle Camere (art. 94 della Costituzione); c’è un presidente del Consiglio che ha la responsabilità di dirigere la politica di tutti i ministeri, e le responsabilità, in Consiglio, sono collegiali (art. 95). Un ministro che parla per sé e che si pone in contrasto con la linea del governo è un ministro fuori dalla Costituzione.
Purtroppo l’Italia è stata ubriacata di antipartitismo e di antistituzionalismo, per cui appare avvolto da luce positiva chiunque sfugga alla disciplina di partito o deragli dai binari istituzionali. Diviene coraggioso e sincero, esperto ed intraprendente, moderno ed innovatore. Invece no, è solo fuori dal dettato costituzionale, giacché, di certo, non può esistere un governo popolato da soggetti che la mattina si alzano e credono di essere diventati i proprietari del ministero che occupano, determinandone, quindi, politica e linee di sviluppo. Il governo del paese non è un insieme di feudi dominati dall’augusteo principio del cuius regio et eius religio.
E non basta, vi sono altri pericoli ancora. Questa concezione della politica porta ad un esasperato personalismo, tanto nella proposizione esterna quanto nell’amministrazione del potere, ed il personalismo è nemico giurato del parlamentarismo. Credo che pochi si rendono conto di quanta antidemocrazia sia insita nei fenomeni che accompagnano questi anni non gloriosi.
A questo punto mi sento rivolgere una domanda: preferivi Rosy Bindi? La risposta è: si, preferivo Rosy Bindi. Perché preferisco l’espressione di un disegno politico da battere, da mettere in minoranza, da portare all’opposizione, piuttosto che il dandismo politico di personaggi bravi per troppi e buoni a troppo.