Politica

Monti’s list

La Monti’s list è una lista della salvezza. Salverà quelli cui permetterà d’intestare a un nuovo ideale la propria permanenza parlamentare, “come un pisello nel suo baccello” (Stanlio e Ollio, op. cit.). Salverà il nuovo che avanza e il vecchio avanzato, finalmente affrancati dal fastidio di darsi un programma e una linea politica. La tattica scelta è così nuova da somigliare terribilmente alla trovata del “preambolo” (1979, creatore Carlo Donat Cattin, finalità … isolare i comunisti): si scrive un testo abbastanza generico da potere essere condiviso da tutti quelli che ci stanno, i quali ci stanno per ragioni che nel testo non sono scritte. Sgomiteranno, per entrare della Monti’s list, salvo il fatto che l’intestatario rimarrà algido e lontano, vagamente disgustato da quel che, in suo nome, sarà imbarcato. Servirà ad allungare la broda di una politica che non funziona.

Che alternative ci sono? Bella domanda, in effetti. Leggo con umana partecipazione il dolore di Massimo D’Alema, che condivido: non puoi arrivare a palazzo Chigi perché sei tecnico ed esterno e, poi, da lì occupare la politica dall’interno. Vero. Ma è questa sinistra di vigliaccuzzi ottusi che, pur di non fare i conti con sé stessi e con il proprio passato, s’è inventata la solfa di: a. ci vuole chi garantisca in Europa; b. ci vuole chi è gradito ai mercati. Ecco il risultato. Perché loro non garantiscono un bel niente, né c’è una sola persona ragionevole disposta a credere che “noi vi abbiamo portato nell’euro”. Il guaio è che essi stessi credono a quel che dicono, nel frattempo contraendo alleanza che depongono in senso opposto. Leggo anche con umana comprensione la rabbia di chi si ripresenta sulla scena promettendo quel che promise. Silvio Berlusconi, però, farebbe bene a ricordare che non solo la pressione fiscale crebbe durante i suoi governi, ma che furono loro a dar vita all’Imu, sicché, oggi, non ha molto senso dire che sarà abolita, semmai potrebbe sostenere che la vorrebbe far tornare a quel che sarebbe dovuta essere e non fu, vale a dire un’imposta unica per tutte le faccende municipali. Inoltre, lo scrivo con il cuore in mano, dopo una certa età non ci si fidanza. Se il crapulone può destare sconcerto frammisto a simpatia, il Peynet fuori tempo massimo rischia giudizi meno ruvidi, ma devastanti.

No, in effetti le alternative non sono poi così entusiasmanti. A meno che non si provi a ragionare di cose concrete. Perché la Monti’s list, mi sbaglierò, raccoglie sui giornali una messe di voti che mancherà nelle urne. Prima o dopo ci sarà un bimbo che dirà: papà, ma se nonno Mario aumenta le tasse per pagare il debito e, intanto, il debito cresce, non è che, magari, sta sbagliando? E la sorellina dirà: mamma, nonno Mario è tanto serio e per bene, non è mai stato comunista, la sera va a nanna, tende a gigioneggiare con le conduttrici, ma solo perché è buono, però, mamma, voi grandi state per eleggere chi governa la seconda potenza industriale d’Europa o il direttore del collegio? E anche senza avere la beata ingenuità dei bimbi, qualcuno si domanderà in base a che cosa il professor Monti continua a far torto alla sua cattedra annunciando un 2013 di ripresa produttiva e occupazionale, laddove i numeri pubblicati dal suo stesso governo raccontano di recessione e disoccupazione.

Le democrazie non si governano senza partiti politici. Tutte le grandi democrazie hanno partiti solidi e dalla lunga storia. I partiti non sono delle liste con il nome del divo di turno, perché è ora di chiarire che il delirio personalistico ha già fatto troppi danni. I partiti non servono (solo) a prendere voti, servono a costruire il consenso, a evitare che i governi diventino apolidi. Sono i partiti, pur nelle loro differenze, a difendere la sovranità di un Paese. Se non vogliono farsi fregare dalla Monti’s list, che sarà accozzaglia d’inutili e prenderà meno voti di quel che si crede, ma conquisterà centralità governativa, se non vogliono essere comparse di questa straziante agonia politica e costituzionale, la sinistra e la destra, quel che c’è di partito dall’una e dall’altra parte, abbiano il coraggio di fare quel che sanno benissimo di dovere fare: un accordo preventivo per la riforma costituzionale, in modo da dare poteri reali al governo e interrompere un ventennale deragliamento. Se il loro leader è Benigni, che se lo tengano, così si beccheranno Grillo e continueranno a decomporsi. Ma se hanno ancora un pizzico di sale in zucca, lo usino. In fretta.

Pubblicato da Libero

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