Dunque chi – appena ieri – ha votato contro il programma esposto da Ursula von der Leyen ora s’appresta a votare a favore della sua Commissione europea, anche perché ne fa parte un proprio esponente, che afferma di condividere quel programma. Lo stesso esponente, Raffaele Fitto, aveva votato con i suoi colleghi di partito contro il programma europeo Next Generation Eu, ma ora afferma che se tornasse indietro lo voterebbe con gioia. Si può valutare il trasformismo usando parametri moralistici, sicché negativamente, ma si può anche considerare che quando una posizione è sbagliata (e Fitto e i suoi hanno sbagliato anche sulla riforma del Mes, isolando l’Italia) tanto meglio se viene cambiata, sebbene con ritardata ipocrisia e pelosa convenienza.
Se c’è chi è capace di mille mutazioni, rimanendo immutabilmente coerente con il proprio obiettivo di vita (galleggiare), c’è anche chi non riesce a vedere le mutazioni, pensando che la coerenza consista nel ripetere sempre la stessa cosa, incurante della realtà. Mentre il fronte degli antieuropeisti ha dovuto prendere atto d’essere fuori dalla Storia e s’è convertito in frammentazioni diversamente europeiste, il fronte dei presunti europeisti s’è attardato in una insulsa lamentazione su manchevolezze e ritardi. Che talora sono questioni vere, ma si tratta di operare e non di dolersi.
Prendiamo lo specifico esempio delle politiche fiscali: quante volte avete sentito ripetere che non si può costruire l’Unione europea se dentro vi si trovano dei paradisi fiscali che drenano quattrini altrui? Pare ovvio, ma non lo è. A parte che i paradisi fiscali sono migliori degli inferni fiscali, ragionate su questi dati: in Trentino-Alto Adige risiede l’1,8% della popolazione italiana, ma lì si fanno il 44,9% delle immatricolazioni delle auto per Noleggio con conducente (Ncc); in Valle d’Aosta risiede lo 0,2% della popolazione e si immatricolano l’8% delle Ncc; il Lombardia risiede il 17% e si trova appena l’1,9% delle immatricolazioni. Dite che a Trento e Aosta vanno tutti in giro con l’autista e a Milano pochissimi? Ovvio che no. Quei numeri sono il riflesso del fatto che – dal punto di vista delle tasse locali – le prime due aree hanno condizioni paradisiache, nel senso che si paga meno, mentre la Lombardia abbastanza infernali, nel senso che si paga ben di più. Tale drenaggio comporta – ogni anno e soltanto per le tasse Ncc – uno spostamento di risorse pari a 6 miliardi di euro: meno in Campania, Lazio, Lombardia et cetera e più in Trentino.
Ragionando come chi crede sia ovvio che si debbano rendere infernali i paradisi e non paradisiaci gli inferni, si dovrebbe proibire il ‘trucco’ e aggravare il Trentino, sgominandolo. Invece si deve sgravare l’imposizione degli altri. Anche perché quelle sono zone di confine e se non si fa un’adeguata concorrenza fiscale va a finire che le immatricolazioni le fanno altrove, come già accade. A quel punto è più facile prendersela con l’Ue, sostenendo quello che non si avrebbe il coraggio di sostenere in Italia. Però il principio della concorrenza fiscale è virtuoso e se non esistesse mi dite a cosa servirebbero le autonomie locali? Perché concorrenza non significa soltanto pagare di meno, ma anche avere di più in cambio.
Magari andrebbe a votare più gente, se si parlasse in questi termini. Ma i presunti europeisti sono adusi alle lamentazioni più che alle rivendicazioni, sicché perdono l’occasione per dire che la sana concorrenza s’inceppa se il debito di taluni ne rende anelastica la politica fiscale, quindi occorrendo politiche di rientro e, al tempo stesso, debito comune per investimenti. E chi è contro non è per la sovranità, ma per l’arretratezza e la povertà.
Anziché ragionare di alleanze partitiche sarebbe salubre ragionare di politica, altrimenti poi ci si ritroverà Meloni a dar lezioni di pragmatico europeismo, avendo combattuto contro l’integrazione europea, come ci si ritrovò Napolitano a darne d’europeismo monetario dopo essersi battuto contro il Sistema monetario europeo.
Davide Giacalone, La Ragione 14 novembre 2024
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