Politica

Napoli disgraziata

Vedi Napoli e poi ti spari. Quel voto fa orrore, segnala lo squagliarsi della politica, mette in evidenza la devastazione civile. Nessuno creda che sia una faccenda dei soli elettori partenopei, nei cui panni è davvero scomodo mettersi, perché quel prepotente e dirompente allarme riporta a ciò che sostenemmo: a dispetto delle tonitruanti e rodomontesche sparte leghiste il rischio di spezzarsi l’Italia lo corre al Sud, non al Nord.

Certo, quella più evidente è la tragedia della sinistra. A Napoli c’era una tradizione forte, nobile, che si poteva non condividere e osteggiare, ma andava riconosciuta (un nome per tutti: Giorgio Amendola). Quella tradizione è stata spezzata da Antonio Bassolino, un non napoletano. E questo conta, perché il sistema delle autonomie, così come s’è strutturato, e la grande conurbazione napoletana hanno liquidato la borghesia pensante della città vesuviana. E l’umiliazione si trascina e moltiplica, con il Partito Democratico che ha mandato un giovane ligure, Andrea Orlando, a far da commissario provinciale. Orlando, da responsabile giustizia del Pd, ha sperato di conciliare la dipendenza della sinistra dall’operato della magistratura con il recupero della vecchia e dimenticata cultura garantista, che pure nella sinistra esisteva, e si ritrova, a suggello di una sconfitta totale e inappellabile, a corteggiare Luigi De Magistris, affinché accetti voti che lui non chiede, perché tanto sa che non saprebbero dove andare. In questa parabola c’è tutto l’orrore di una sinistra che s’è consegnata ai propri carnefici.

Ma, appunto, quella della sinistra è la tragedia più evidente, non la sola. Il trionfo di De Magistris mette in evidenza la follia di un mondo politico che non ha saputo parlare il linguaggio del diritto, non ha saputo far funzionare la giustizia e ha consentito la nascita di mostri politico-giudiziari. Quei mostri attirano voti generati non dalla sfiducia, ma dall’avversità alla politica, alle istituzioni, all’idea stessa che il voto abbia una funzione democratica, utile a scegliere gli amministratori, sicché viene utilizzato per protestare e rivoltarsi.

Il bassolinismo ha trovato in De Magistris il suo vendicatore, uccidendo quel che restava di una sinistra che, per meglio cancellarsi, s’è consegnata nelle mani di un prefetto. Ma una volta regolati i conti interni all’area politica che ha dominato Napoli e la Campania, troverà la continuità in Gianni Lettieri. Il paradosso del ballottaggio è che gli elettori napoletani possono liberamente scegliere fra i due candidati, come possono scegliere di non scegliere, ma non possono votare contro chi li ha massacrati, non possono votare contro Bassolino. Fra due settimane non so chi festeggerà l’elezione. So che festeggerà Bassolino.

Né c’è spazio alcuno per forze alternative, di ragionevole moderazione, di equilibrato centrismo. Marco Follini e Beppe Fioroni, che sarebbero l’ala democristiana del Pd, hanno già annunciato di appoggiare De Magistris. Vale a dire di rinunciare ad esistere. A qualcuno può sembrare una scelta tatticamente furba, in realtà è la dimostrazione che hanno perso tutto, e buttano via anche l’onore.

Sappiamo che il successo di De Magistris è una sconfitta della politica, anche nella versione brutale e offensiva incarnata da Antonio Di Pietro. Ma è di più: è la forma che prende, nel mezzogiorno, il rigetto delle istituzioni e la sepoltura del meridionalismo che si rivolse ai cittadini, anziché alla plebe. E’ il sismografo che denuncia un terremoto forte, capace di separare faglie unitesi 150 anni fa. Far finta di niente è da stolti, ma anche mettere il tegame sopra la testa serve a poco.

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