Politica

Napolitano europeo reticente

Da Giorgio Napolitano mi aspettavo molto di più, in termini d’analisi e proposta, sul tema dell’integrazione politica europea.

L’attuale presidente della commissione affari costituzionali del Parlamento Europeo prende carta e penna per scrivere di “Europa politica” (Donzelli Editore), ma lascia che prevalgano reticenze e posizioni politiche troppo diluite. Peccato.
Il suo argomentare comincia in modo promettente, con un’analisi degli errori commessi dal suo partito, quello comunista, tradizionalmente contrario all’Unione Europea. Ma si affloscia subito, e si resta interdetti nel leggere le date cui si riferiscono gli errori: tutti collocati nell’immediato dopoguerra; tutti coperti, ridicolmente, chiamando la correità di Pietro Nenni. Ma Napolitano era già dirigente di peso quando il suo partito, e lui stesso, oppose il voto contrario all’ingresso nel Sistema Monetario Europeo; egli aveva responsabilità nazionali quando le bandiere del suo partito sfilarono contro gli euromissili, fortunatamente voluti dalla sinistra socialista e democratica europea, come da quella italiana non egemonizzata dal suo partito.
Non glielo ha ordinato il medico, a Napolitano, di impegnarsi in una riflessione autocritica, ma se lo fa non può permettersi il lusso di escluderne tutti gli errori che lo hanno visto direttamente partecipe e consenziente. Oltre tutto, se è così reticente ed omertoso, finisce con il gettare una luce comica sull’autocandidatura, sua e del suo partito, a fare da guardiani dell’ortodossia europeista.
In anni lontani, quando, prima di diventare responsabile dei rapporti internazionali, egli seguiva, per il partito comunista, i problemi economici, dichiarò di avere “riletto” la nota aggiuntiva, scritta da Ugo La Malfa, ed averla trovata assai interessante. L’autore lo beccò subito: “secondo me l’ha letta, non riletta”. Ecco, credo che abbia scoperto in ritardo anche l’Europa, e tenda sempre ad imbrogliar le carte.
Nelle sue pagine, più che giustamente, cita molto Altiero Spinelli, il cui europeismo è a ventiquattro carati, e che fu eletto come indipendente nelle liste comuniste. Altrettanto spesso cita Jean Monnet. Peccato che ci lasci nel dubbio di quale convincimento abbia tratto da quelle letture (postume). Già, perché Napolitano ci dice che il disegno federale, con cessione continua di sovranità da parte degli Stati membri, deve andare avanti; e ci dice anche che l’allargamento dell’Unione ad altri paesi è un fatto positivo. Ma la politica impone di scegliere: o un’Europa sempre più soggetto politico, con una costituzione federale; o un’Europa che si allarga, legandosi al principio di sussidiarietà, o, come avrebbe detto Spinelli, ad un assetto a geometria variabile.
Se lo scopo era quello di dare alle stampe un predicozzo europeista, temo che il risultato sia piuttosto limitato; se, invece, voleva approfittare dell’autorevolezza e dell’età per lanciare un messaggio chiaro, e chiudere con gli errori passati, allora il bersaglio è stato mancato.
Visto che il saggio introduttivo è stato chiuso nel gennaio di quest’anno, all’autore non sarà sfuggito che l’Europa è dilaniata da un non secondario problema di politica estera, che, fra le altre cose, vede l’Europa divisa tanto nei rapporti con gli Usa quanto nella posizione da assumere in sede Onu. Possibile che non gli sia sembrato un tema degno d’attenzione? Eppure vi avrebbe trovato il motivo per costatare che, spesso, l’appello aprioristico e fideistico all’Europa nasconde sentimenti non poi così encomiabili. Noi, europeisti da sempre, possiamo ben vederlo e dirlo. Forse anche lui avrebbe potuto provarci.

Condividi questo articolo