Politica

Nazionalismi a perdere

I nazionalismi odierni non sono pericolosi, ma ridicoli. Si tratta di ricette declamatorie, prive di senso della realtà, in ritardo di secoli (e per un secolo hanno portato male). Eppure hanno un loro fascino, accendendo movimenti e formazioni politiche capaci di guadagnare molti consensi. La loro forza nasce dall’inconcludenza delle politiche europee.

Prendete il caso della Francia, dove una forza politica (il Front National di Marine Le Pen) è cresciuta, fino a essere la prima, mescolando paure, rifiuti e chiamate alle armi, sovrapponendo loro l’etichetta lisa della grandeur nazionale. Laddove, semmai, è evidente la petitesse (piccolezza). E’ un caso curioso, perché i francesi e i loro governi sono stati i più nazionalisti fra i soci fondatori dell’Unione europea. Affondarono prima la comunità della difesa, poi la così detta Costituzione. Hanno avversato la soluzione federale dei debiti pubblici nazionali, schierandosi con la Germania, rifiutando gli eurobond. Dovrebbero essere satolli di nazionalismo, invece ne sentono il languore. Accade perché la loro esangue classe dirigente, così come la nostra, ha fatto passare per “conquiste nazionali” le protezioni avute e per “vincoli europei” la banale presa d’atto di cosa e quanto la globalizzazione ha cambiato la realtà. Una viltà che li travolge. Pensate solo alle banche: le loro si sono salvate grazie ai soldi dei contribuenti francesi, ma anche a quelli dei contribuenti italiani, quando si sostenne che la bancarotta greca era un rischio imprevedibile e sistemico, mentre, oggi, gli obbligazionisti italiani, che prestarono soldi a quattro banche sbagliate, pagano di tasca loro. Ci sono colpe in casa nostra, ma i francesi dovrebbero festeggiare lo scampato pericolo. Invece inneggiano a ricette che, se vigenti in quel momento, li avrebbe risucchiati in una spirale d’improduttività, perdita finanziaria, svalutazione e alta inflazione. Un inferno.

Ma se sul fronte monetario ha agito la Banca centrale europea, suscitando le reazioni negative delle stesse persone che prima chiedevano quel che poi è stato fatto (maggiore liquidità e svalutazione competitiva), altri fronti sono rimasti sguarniti. Prima di tutto quello dell’immigrazione. I nazionalismi, oggi, non porterebbero frontiere ermetiche, ma l’esatto contrario. Se i francesi dovessero curare in proprio le loro non avrebbero solo il problema in qualche punto, ma su tutto il perimetro, dato che nessun altro Paese, noi fra questi, sarebbe incaricato di fare il lavoro anche per loro. Potrebbero varare misure feroci, senza per questo fermare il trasudare di clandestini da ogni dove (i profughi, come ripetuto mille volte, sono questione diversa). Noi italiani abbiamo confini che in gran parte coincidono con quelli dell’Unione, i francesi meno, i tedeschi per niente. Torniamo alla dimensione nazionale e per loro sarà di gran lunga peggio.

Questo, però, non basta a mettere fuori gioco le non-ricette lepeniane. Anzi, paradossalmente, ne rende possibile la declamazione senza controprova immediata. Se si vuole contrastare l’infezione irragionevole non serve a nulla prendersela con il sintomo, bisogna affrontare il male. Avere politiche comuni per l’immigrazione. Le frontiere materiali sono, oggi, anche le frontiere storiche e politiche d’Europa. Gestione comune, respingimenti gestiti fuori dalle giurisdizioni nazionali, accoglienza selettiva di quanti sono utili. Sarebbe una risposta vera a paure che si sono accresciute con gli attacchi terroristici. Se non si vuole cedere alle ricette irragionevoli se ne devono applicare di ragionevoli.

Le tre famiglie politiche che hanno animato e amministrato la storia post bellica d’Europa (cristianodemocratica, socialdemocratica e liberaldemocratica) possono suicidarsi nel far fronte comune (elettorale e governativo) contro gli effetti dei loro errori, o possono rimediarli, sottraendo la politica all’insulso propagandismo e restituendola alla gestione del reale. In campo monetario lo si è fatto fare alla Bce, i cui meriti nulla tolgono ai fallimenti politici. Sull’immigrazione non si può delegare. Il tempo di agire è: immediatamente. Se non ci si riesce è sciocco deprecare e gridare che gli altri sono barbari, perché tanto più lo sono quanto più è gigantesco il fallimento di chi, strillando inorridito, pensa di salvarsi l’anima. In quel modo è già persa.

Pubblicato da Libero

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