Politica

NomineRai

L’impegno era chiarissimo: faremo le nomine Rai con la nuova legge. Sarà onorato al 50%: faranno le nomine Rai. Ragguardevole la figuraccia, ma nella sostanza cambia poco. Quella, la sostanza, non sarebbe cambiata con la riforma. Nessuno dei riformatori s’è occupato della Rai, preferendo occuparla. Nessuno ha pensato al futuro di quel mercato, perché troppo occupati nell’accaparrarsene il presente. Le riforme di cui si parla girano attorno a un solo punto: come spartirsi la Rai. I cultori di management, studiato per corrispondenza quando le poste scioperano, obietterebbero che si cambierebbe anche la governance. Parla come magni, verrebbe spontaneo suggerire, se non fosse che il verbo “mangiare”, in questo caso, si coniuga al futuro: mangeRai. La governance, comunque, altro non è che lo stabilire chi comanda e con quali procedure, quindi si torna al tema principe: come ci si spartisce la torta Rai, fatta di denari, assunzioni e capacità d’influenzare e indirizzare l’opinione collettiva.

Il ciclo Rai è sempre uguale: se si trova un assetto gestionale che concentra il potere in poche mani, tendenzialmente quelle di una sola persona, poi si sente l’esigenza di un maggiore controllo parlamentare, in modo che non sia un feudo esclusivo; dal controllo si passa alla cogestione; dalla cogestione al caos totale; dal caos si pensa di uscire portando il potere nelle mani di uno solo. Un gioco noiosissimo e sempre uguale. Di tanto in tanto compare un misirizzi che pensa di potere far credere d’averlo inventato, rendendosi ridicolo. In parallelo procede il polemismo sena costrutto: quando comanda uno lo si accusa d’essere al servizio di una sola fazione politica, il che è assolutamente ovvio; quindi si attacca il dispotismo in nome della democrazia; ergo si traduce la democrazia in spartitocrazia; fin quanto il ciclo si compie con una bella polemica contro i partiri e la lottizzazione, ricominciando da capo con l’idolatria del capo. La riforma targata Renzi si colloca nelle due fasi immediatamente precedenti alla chiusura dei due cicli, volendo concentrare il potere. Il fatto che si facciano le nomine con la legge Gasparri, quindi che il Pd e il governo prenderanno ugualmente tutto, dovrebbe rusultare istruttivo sulla radice profonda del dramma italico: il potere dell’impotenza.

Sono lustri che il dibattito in materia somiglia alla corsa dei criceti in gabbia, che si lanciano velocissimi in una ruota che li riconsegna sempre esattamente nel posto in cui si trovano. Per uscire dalla gabbia il modo c’è: venderla. Venderei tutta la Rai. Tutta, portando i quattrini ad abbattimento del debito. L’offerta televisiva non diminuirebbe di nulla, anzi aumenterebbe, migliorando. Non volendo esagerare, si potrebbe conservare in mano pubblica una sola rete, per praticare il mitico esercizio del “servizio pubblico”, che nessuno sa cosa sia, ma piace tanto a quasi tutti. Magari, almeno, si potrebbe cominciare a vendere qualche cosa. E invece niente: i riformatori della domenica sono conservatori per tutta la settimana, vogliono tenersi tutto. Non hanno cuore di gettare nello sgomento tanti bravi raccomandati; lasciare orfani tanti suggenti il mammellone; a spasso dirigenti che non dirigono; sul mercato quanti valgono; ma, prima d’ogni altra cosa, non se la sentono di negare un’opportunità a Fantoni Cesira (o Cesi Phantoni), che chi non sa chi sia non ha che da studiare i classici.

Accendete il televisore e guardatelo con attenzione, ci troverete la ragione profonda di quel che ci affligge: siamo stati fra i più bravi, e spesso i migliori in assoluto, nel fare televisione, sia quella pubblica, nazionalpopolare e didattica, varietà e prosa compresi, sia quella privata, quiz e tettone comprese, ma da lustri rimestiamo nel nulla della conservazione imitante, nella riproduzione senza fantasia, nella pratica di format che saranno pure successi mondiali, ma sono anche demenza allo stato puro. A casa si prova a indovinare in quale pacco stanno i soldi (ma si può essere più deficienti?), a Palazzo Chigi in quale boiardo trovare l’amico per nuove avventure. Due Italia che si meritano l’un l’altra. Spero di non meritarle entrambe.

Pubblicato da Libero

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