Politica

Non è il ’92

Siamo tornati al ’92, sento dire. Ma con una grande differenza, riflettono in diversi, pur non sprovveduti: allora c’era un disegno e una classe politica di ricambio, oggi no, oggi è il vuoto, in maggioranza come all’opposizione. La tesi ha un suo fascino e non è priva di fondamenti, compreso il fatto che la nostra storia ci ha abituato ai cicli ventennali, e non esclusi, naturalmente, la difficile condizione della finanza pubblica e l’attacco alla moneta. Le inchieste giudiziarie sembrano anch’esse un ricorso, ma, a ben guardare, sono state una costante, indotta non solo e non tanto dalla politicizzazione delle procure, ma dalla bancarotta della giustizia e dal conseguente degrado dei protagonisti. Ma restiamo alla tesi circolante: allora c’erano delle sponde, i comunisti e la Banca d’Italia, ora ci si muove nel vuoto. E il vuoto crea smarrimento, che può generare panico, che talora materializza reazione.

La tesi non mi convince. Vedo anch’io quel che sembra evidente, ma le cose che sembrano non sempre sono. Intanto perché il biennio 1992-1994 fu pessimo e immorale, talché c’è poco da ricordarlo con tenerezza. E’ vero che i comunisti, provvisoriamente ribattezzati, furono utilizzati quale punto d’appoggio governativo, ma ciò avvenne contro la volontà degli elettori, che non appena poterono tornarono a bocciare quella roba. Occorre essere profondamente antidemocratici, per ricordarsene senza scandalo. Ed è vero che dalla Banca d’Italia si presero uomini cui affidare la guida del Paese, sempre grazie all’appoggio comunista, ma furono gli stessi che gestirono la più colossale rapina ai danni delle casse statali. Non c’è male, volendo essere l’era del risanamento dopo quella della corruzione. Quindi no, chi riflette nel modo accennato non ricorda, o non sa o non capisce. Non è per quello, non è per l’esistenza, allora, di una classe politica di ricambio, che oggi ci si trova più smarriti. Allora, perché?

Venti anni fa si coagularono interessi diversi, di tipo economico e politico, cui poté fare riferimento una cultura da sempre avversa all’idea che l’Italia possa essere governata seguendo i voleri delle maggioranze (anzi, ritengono questa, che è la democrazia, una pericolosissima avventura), e ritennero possibile la continuità istituzionale, con l’immutata Costituzione del 1948, anche dopo l’espianto delle forze politiche che avevano preso più voti e governato. Non a caso sopravissero solo gli ex fascisti e gli ex comunisti. Tale disegno, niente affatto disinteressato, grazie al quale si sono fatti gran quattrini, non funzionò e, anzi, creò le condizioni per un nuovo fenomeno politico: il berlusconismo. Quel disegno non era elitario, era cieco, sconosceva il Paese e la sua storia. Quindi presero il bottino e dovettero lasciare la scena, da allora in poi occupata, anche grazie all’antiberlusconismo, da Silvio Berlusconi.

Perché oggi non si vede nulla di simile? Perché non ci sono né forze né uomini che sembrano idonei a prendere in mano il Paese? Perché è un’illusione ottica, dovuta al contemporaneo implodere sia di un mondo politico che dell’architettura istituzionale. Sono entrambe al capolinea. Anzi, lo hanno superato, ed è per questo che, da un pezzo, siamo fermi. Quelli che dicono “sto con Napolitano” dimostrano solo di non sapere cosa dire, quindi di buttarsi sul più fesso dei conformismi benpensanti. Ma non ha senso, perché se la Costituzione l’avessero letta s’accorgerebbero che quell’affermazione, del resto presente in tanti commenti e sulle labbra di tanti politicuzzi, è in sé la conferma che la Carta è oramai strappata e tradita, perché i costituenti mai e poi mai vollero un Presidente con cui si dovesse “stare”.

Non è vero che la classe dirigente non c’è, perché posso indicare nomi e cognomi di gente capace, seria e preparata, solo che non li conosce nessuno e non sono non dico al potere, ma nemmeno in Parlamento. S’è definitivamente inceppato sia il motore istituzionale che il meccanismo di selezione. Non se ne esce trovandosi un altro Occhetto da mandare al massacro elettorale o altri falsi tecnocrati per regalare agli amici l’Eni, come allora si regalò la Telecom. Non si abbia nostalgia di quel pessimo passato, ma neanche paura di guardare in faccia il futuro: sono le istituzioni a dovere cambiare, radicalmente, per ripartire.

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