E’ ora di finirla. Il tessuto istituzionale s’è logorato, quello politico spappolato, quello sociale abbandonato. Non ho alcuna vocazione al catastrofismo, meno ancora all’estremizzazione, ma risulta difficile non misurare la distanza fra il nostro dibattito civile e quello di una normale democrazia. Non si tratta dei toni, oramai è la sostanza ad andare in malora.
In un normale Parlamento al deputato che si comporti da esaltato e che si esibisca in gestacci all’indirizzo della presidenza, non tocca altra sorte che l’espulsione. Ma può essere espulso il ministro della Difesa, nel mentre l’Italia è impegnata in operazioni militari in diverse parti del mondo? In un Parlamento normale il presidente d’Aula non può esserci giunto quale cofondatore del partito di maggioranza, salvo restarci perché idolo dell’opposizione. Ma può essere destituito senza che il conflitto politico faccia macerie fra le istituzioni? In un governo normale non s’inserisce un ministro indagato per mafia. Ma può essere tenuto fuori dal governo chi è indagato, posto che lo si può essere per lustri? In una giustizia normale si prova ad accorciare i tempi per tutti, non ad anticipare la scadenza dei processi, suicidandoli. Ma può il legislatore subordinarsi ai desideri di una corporazione avversaria di qualsiasi riforma, che non sia la resa incondizionata alle procure e all’inefficienza? Potrei continuare per pagine, avanzando a grandi passi fra le nostre miserie collettive.
Guardo il panorama politico e le persone che lo popolano. Uno sconforto. La destra è piena di gente che fu fascista, la sinistra di gente che fu comunista. Gli uni e gli altri provano l’acrobazia: rivendicare con orgoglio il proprio passato e pretendere d’esserne lontani. Trasformisti, in altre parole. Quasi tutti abbiamo commesso errori adolescenziali, ma loro ci sono cresciuti e pasciuti, nell’errore, ne hanno fatto motivo di carriera, ci si sono affermati, ci hanno mantenuto le famiglie (plurale, proto, perché son anche capaci di averne diverse e difenderne il sacro valore). Che razza di Paese è quello in cui la classe politica pullula di gente che l’avrebbe voluto ricondurre al ventennio, muovendo al passo dell’oca, o l’avrebbe voluto far entrare nel novero del socialismo reale, procedendo a suon d’inni e rubli? (che, in realtà, erano dollari). E’ il nostro Paese, oramai privo di classe dirigente.
Questa sorte la vedemmo per tempo, cominciando a dire che, forse, anziché giungere a tanto, sarebbero state salutari le elezioni anticipate. L’opposizione non le voleva, perché pensava di perderle (e già questo la dice lunga, sulla stoffa di certi oppositori). La maggioranza non le ha volute, perché ha confuso i numeri per restare con la voglia e la forza di governare. A me sembravano inevitabili. Mi sono sbagliato. E ora che il tempo della loro convenienza è passato non è escluso che ce le scodellino per consunzione ed esasperazione.
La legislatura ha superato il suo limite massimo di tenuta, ma può ancora procedere per mesi. L’unica cosa che la tiene in piedi è la mancanza d’alternative. Non basta, anzi: è pericoloso. Quando forze nuove, per collocazione politica o generazionale, si fanno avanti le democrazie possono procedere, cambiando e crescendo. Quando ciò non accade si trascinano fino alle rotture. La nostra è esposta a tensioni internazionali ed è stanca nelle sue dinamiche interne. Imbocchiamo la via d’uscita, mettiamo mano alla terza Repubblica, o il grido rauco delle tifoserie continuerà a dominare la scena.