La nostra vita pubblica è punteggiata da indagini e processi. Più indagini e arresti che non sentenze. Purtroppo. La politica si ripiega sulle proprie faccende penali, come fossero le più importanti. Non è così: i Carabinieri che hanno svolto una funzione nell’indagare e colpire la mafia hanno subito così tanti e così diversi processi da imporci di leggerne l’insieme come un vero e proprio tentativo di demolizione dell’Arma. Ieri l’assoluzione del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di avere favorito la mafia, non catturando Bernardo Provenzano, potrebbe far tirare un sospiro di sollievo. Ma sarebbe un errore.
Va preso il fiato, ma per cominciare a far piena luce su quella stagione palermitana, sull’indagine mafia-appalti, che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vollero è che fu insabbiata e distrutta a poche ore dalla morte del secondo. Si deve dipanare la matassa aggrovigliatasi nella procura di Palermo (di allora) e poi gelosamente preservata da indagini serie. Va studiata la trama che ha portato i Carabinieri, da Mori a Carmelo Canale, a essere accusati di mafia, per essere sempre tutti assolti.
Oggi sarebbe naturale complimentarsi con Mori e Obinu per la loro condotta, anche processuale. Ma non basta. Sulle loro teste, con la pretesa di farle cadere, è passata una stagione che deve essere dissolta. Alla luce. Perché di danni se ne sono già fatti molti. Si è infangata la memoria dei migliori e corrotta quella collettiva, si è depistata l’opinione pubblica e avvelenata l’antimafia. E’ ora di tornare al rigore e alla serietà.
Pubblicato da Il Tempo