Ingigantire la Cina non è facile, ma ci si riesce considerandola una minaccia globale sia quando cresce che quando “crolla” (salvo poi rimbalzare). Fino a qualche tempo fa l’allarme suonava perché sarebbe divenuta presto la più grande economia del mondo. Tema serio, certamente, ma senza dimenticare che il prodotto interno lordo è un dato aggregato, che misura un Paese che ha le dimensioni di un continente (e un solo fuso orario, il che basta a scorgere le debolezze di una terribile rigidità), se lo si divide per la popolazione, calcolando il reddito pro capite, di cammino da fare ne ha ancora parecchio, prima di essere paragonabile al mondo industrializzato e democratico. Ora l’allarme suona per il crollo delle Borse. Peccato che quelle di Shangai e Shenzen sono anche quelle cresciute di più, raggiungendo l’incredibile +150% in un anno. Se si prendono anche gli ultimi cinque, questi giorni compresi, restano quelle con il migliore risultato. E peccato che in quelle Borse investono pressoché solo i cinesi, sicché il contagio è probabile quanto una malattia venerea presa per corrispondenza.
La faccenda ci riguarda, eccome, ma si deve conoscere, ragionare e vederne anche le opportunità, oltre ai pericoli. Intanto chiarendo che la Cina non crolla, ma cresce quest’anno del 7%. Dal 1990 è il risultato più basso. E’ vero che si tratta della metà di quel 14% agguantato nel 2007, ma, giusto per avere un’idea, per stare al loro deludente livello, nel 2015, noi italiani dovremmo crescere dieci volte quel che stiamo crescendo. Mi accontenterei di meno della metà. Le nostre esportazioni verso la Cina sono ad alto valore aggiunto e tecnologico, oppure dirette verso i redditi alti, sia che si tratti di moda che di cibo. Non corrono particolari rischi. Per ora. In quanto alle importazioni, sono in gran parte a basso valore aggiunto e alto tasso di lavoro povero, roba lontana dalla finanza. In ogni caso, non si può avere paura delle loro esportazioni e poi lamentarsi della loro (eventuale) crisi.
Il fatto è che la rivoluzione di Deng è invecchiata, cominciando a manifestare dei problemi. Morto Mao, il vecchio e non amato Deng vide la fine che stava facendo l’Unione Sovietica e pensò che neanche loro sarebbero scampati, quindi impresse la svolta epocale: aprire il mercato lasciando chiusa la politica. Mantenere il sistema autoritario e centralizzato, lasciando libera la corsa verso la ricchezza. Ha funzionato. E’ lui il padre della Cina contemporanea. Ma l’equilibrio impossibile ha retto perché la crescita della ricchezza era impetuosa. Come per un aereo in fase di decollo, quando sembra impossibile che il gigante si alzi in volo, ma ci riesce grazie all’accelerazione crescente. Abbassi i motori e va in stallo, ricadendo a terra.
La Cina è un misto di classe dirigente di altissimo livello e poteri locali (si fa per dire, visto che si tratta di aree immense) in mano a burocrati mediocri, di ragazzi vestiti come i nostri, che ascoltano la stessa musica, usando gli stessi terminali, e popolazione ancora un solo passo oltre la sussistenza. L’equilibrio si mantiene correndo e lasciando intendere che la ricchezza crescerà sempre. Per questo Shangai e Shenzen sono un problema, perché ai tanti signori Rossi e Brambilla è stato detto di portare lì i loro soldi, in modo da stare sulla stessa barca di chi è già diventato miliardario. Solo che Chu e Lin i soldi li hanno presi a prestito, a loro volta prestandoli a società quotate, ma gassose. Il governo li ha ringraziati, perché il debito privato era troppo alto e l’uso del risparmio lo sfebbrava, ma ora non sa come fermare la paura. Anche perché la popolazione invecchia, la politica del figlio unico (ora abbandonata) è una bomba a orologeria. E il timer è vicino a scadere. L’ascesa di quell’anomala tipologia di Borsa è stata favorita dal governo, il tonfo è stato letto come sabotaggio, a dimostrazione che si devono ancora digerire le regole del mercato vero, che ha bisogno di regole, ma rigetta le limitazioni di libertà, infine il rimbalzo (ieri superiore al 3%) è favorito da misure dirigiste, che impediscono ai grandi azionisti di vendere e minaccia gli speculatori (ci sono in tutte le Borse, come i batteri che aiutano l’intestino a funzionare) come fossero terroristi.
I ricchi veri, intanto, intesi sia come persone che come gruppi economici, stanno esportando soldi alla grande. Anche in vista della programmata convertibilità della loro moneta. Noi vedremo crescere gli acquisti e gli investimenti da parte di cinesi, perché sanno che trasformarli in beni e produzioni dalle nostre parti è più sicuro che tenerli a lievitare sul mantenimento della promessa che la ricchezza possa sempre crescere, nel mentre la libertà del mercato non s’accompagna alla libertà individuale. Se si spezza quella promessa partono fenomeni di nazionalismo ed etnici che nessuno saprà governare, talché dalle nostre parti, ove di queste cose si discute dopo pranzo, si rimpiangerà l’autocrazia prima detestata. Questo genere d’instabilità è assai temibile, specie s’è attecchisce in un colosso nazionalista.
Dovremmo guardare quel che accade con più freddezza. Con qualche soddisfazione, perché è il nostro modello politico ed economico a dimostrarsi migliore. E anche con qualche cupidigia, perché i capitali che arrivano meritano d’essere ricevuti. Invece, chissà perché, c’è un pezzo d’Occidente che sembra rimasto l’ultimo a credere nelle lanterne e nelle ombre cinesi, coltivando meraviglia e paura, anziché avvedutezza e prudenza.
Pubblicato da Libero