Politica

Opposte incoerenze

Un dibattito pubblico interamente inghiottito dalle carte della procura, dalle accuse penali, è già orrendo di suo. L’ipotesi che la sorte del governo sia legata più allo svolgersi immediato di un processo che al bilancio delle cose realizzate e alla capacità di concretizzare le necessarie, è terrificante. Ma quel che più lascia attoniti è che i protagonisti della vita pubblica non sembrano più in grado di spiegare quel che stanno facendo. Forse neanche lo sanno. Le opposte incoerenze sono il termometro di un crollo che trascina con sé l’intero equilibrio istituzionale.

La tesi della sinistra, come del centro oscillante, da sedici anni a questa parte, è la seguente: la nostra è e rimane una Repubblica parlamentare, la Costituzione non è cambiata, quindi il Presidente della Repubblica non solo non può sciogliere le Camere se c’è una maggioranza, ma prima di scioglierle deve compiere ogni sforzo per cercarne una. La tesi del centro destra, da sedici anni a questa parte, recita in modo opposto: il diverso sistema elettorale cambia la sostanza costituzionale, è il popolo che elegge chi deve governare, stabilendo anche con quale coalizione, quindi piuttosto che cambiare le carte in tavola si deve sempre tornare al popolo, alle elezioni. Applicare, con coerenza, queste premesse, comporta che ora la sinistra dovrebbe essere contro le elezioni e la destra a favore. Invece vediamo il contrario, con tanti saluti alla coerenza.

Si capisce, del resto, che l’opposizione chieda sempre le elezioni, in modo da provare la rivincita. Peccato, però, che non lo abbia fatto, che mentre il governo si sfaldava e logorava essi abbiano continuato a ragionare nella logica ribaltonista, fantasticando di governi “diversi” o “presidenziali”. Peccato, inoltre, che abbiano trovato il coraggio di reclamare le urne dopo che a farvi cenno è stato l’ultimo in tal senso autorizzato, ovvero il Presidente della Repubblica. Se facessero politica, anziché cercare disperatamente di difendere la loro vita di mantenuti e la loro sorte di falliti, avrebbero evitato un simile errore.

Si capisce, parimenti, che chi sta al governo non senta continuamente il bisogno di votare, visto che le elezioni le ha già vinte. Ma il fatto è che, sia alla Camera che al Senato, la maggioranza che sostiene il governo non è più assoluta, e diviene tale, di volta in volta, solo grazie all’apporto di voti esterni, in vario modo raccattati. Siccome questo è esattamente il contrario del modello tante volte sostenuto, e siccome l’opposizione si trova ad essere a dir poco scombinata, e tenuto conto, ove ve ne sia bisogno, che il futuro prossimo è colmo di processi minacciati e tasse non tolte (quando non aumentate), sarebbe stato ragionevole che la maggioranza vedesse nelle urne una possibile via d’uscita. Invece sono riusciti a tacere quando temevano il diniego quirinalizio, e a strillare contro quando quello è caduto. Se facessero politica, anziché sopravvivere a stento e darsi frustate sugli stivali, avrebbero evitato un simile errore.

L’arma dell’opposizione, in occasione dei due ultimi voti di fiducia, aveva un suo fascino: votate contro il governo, cari colleghi peones sconosciuti, perché quelli vogliono le elezioni e voi perdete il posto. Nonostante ciò, il governo ha due volte ottenuto la fiducia. Ora la frittata è girata, sicché i parlamentari marginali dovrebbero votare contro il governo per fare un favore a chi vuole sciogliere il Parlamento e, probabilmente, perdere le elezioni. Ciò vale a dire che, per ragioni niente affatto nobili, la maggioranza tende a rafforzarsi. Senza per questo smettere d’essere bloccata.

Un fugace sguardo alla stampa internazionale, infine, segnala la passione con cui si seguono le cose di casa nostra. Dato che non credo gli editorialisti stranieri non prendano sonno all’idea che noi poveri italiani si sia in cattive mani, ritengo che essi siano il terminale d’interessi economici, e politici, che intendono allungare le mani sulle nostre cose. Su quelle rimaste, visto che le altre già le perdemmo.

Ce n’è più che in abbondanza per provare a smetterla con questa radiazione fossile della guerra civile, ponendoci una semplice domanda: ma esistono interessi nazionali italiani? e, nel caso si risponda affermativamente, chi se ne sta occupando? Sarebbe bello, come dire, che la cosa stesse a cuore a servizi di sicurezza e statisti anche nostrani, non solo a quelli altrui. Ma, per avere ciò, si deve coltivare un mestiere fin qui non solo bistrattato, ma di cui s’è supposto di potere fare a meno: la politica. Forse è giunto il momento di ricordare che un po’ di professionalità non guasta, nel mentre ci godiamo le ultime scene dell’immobilismo frenetico e dell’agitarsi statico.

Condividi questo articolo