Il decreto legge con il quale si trasferisce a privati il patrimonio della Banca d’Italia è stato approvato dal Senato. Di quel che annunciò il ministro dell’economia è rimasto solo il ciclopico trasloco di ricchezza e il disperato prelievo fiscale, per il resto lo hanno fatto a pezzi. Prima la Banca centrale europea e poi i signori senatori. Il risultato finale è un obbrobrio, di cui la grande stampa continua colpevolmente a occultare i giganteschi danni che ne deriveranno. A cominciare dal fatto che gli italiani dovranno ripagare presto quel che ora viene regalato.
1. Nel corso della conversione è stata cancellata la possibilità che a comprare Bankitalia sino altre banche europee, stabilendosi che gli azionisti devono avere “sede legale e amministrazione centrale in Italia”. Scampato pericolo? No, perché tale previsione cozza con i trattati europei, e, considerata la già incassata bocciatura Bce, l’Italia s’acconcia a una futura condanna.
2. Le altre banche centrali europee non hanno bisogno di tale, illegittima, protezione, per la semplice ragione che nessuno è così folle da metterle in vendita, appartenendo ai rispettivi Stati. Il che vale anche per il Belgio, perché quella è sì quotata, ma la maggioranza assoluta delle azioni è detenuta dallo Stato. Lo stesso in Giappone. Così come non è vero sia dei privati la Fed, banca centrale statunitense (ci sono azionisti privati, ma il dominus è il sistema federale, nonché la Casa Bianca). Lo dico perché nella relazione del governo è sostenuto il falso, che i senatori hanno votato con la stessa impudicizia dell’attribuire a un capo di Stato straniero una nipote itinerante.
3. A questo si aggiunga che la Bce è partecipata e governata dalle banche centrali, sicché nessuno sano di mente vorrà mai avere, in quella sede, rappresentanti che non abbiano un legame con il governo, pur nell’autonomia.
4. Non solo è cancellata la bischerata della public company, ma al consiglio superiore della banca è attribuito il potere di veto sui nuovi azionisti. Se Saccomanni avesse a cuore la propria credibilità non potrebbe subire una tale sconfessione. Ma è l’Italia che, se ha a cuore la credibilità della propria banca centrale, non dovrebbe accettare una simile perversione. Derivata dall’originario errore d’immaginarla ad azionariato casuale e diffuso.
5. Visto che nessuno potrà possedere più del 3% di Bd’I, visto che si hanno tre anni per dismettere le quote in eccesso, e visto che si suppone debbano essere banche e assicurazioni italiane a comprare quelle in vendita forzata, considerato che non si troveranno soggetti disposti a regalare soldi ai più grossi concorrenti, ne deriva che il decreto porta a una sola conclusione: Bankitalia ricomprerà le proprie azioni. Solo che oggi le regalano a 156.000 euro e domani le ripagheranno a 7.5 miliardi. La differenza è patrimonio pubblico donato a privati. (Tra parentesi: il relatore, senatore Federico Fornaro, Pd, ha definito quel patrimonio “vero e proprio bene pubblico inalienabile”; qualcuno gli regali un vocabolario, o gli spieghi quel che hanno approvato, perché anziché alienarlo, ovvero venderlo, lo hanno regalato).
6. Udite: in un decreto, che deve ancora essere convertito, è stato inserito un emendamento per cui il nuovo statuto della banca entra il vigore lo scorso 31 dicembre. Non è una mandrakata, è una somarata. Tutto per avere indietro il 12% d’imposta sostitutiva, soldi senza i quali non quadrano i conti pubblici. Che è poi la ragione per cui tutto si trova dentro un decreto relativo all’Imu, a dare plastica visione del ricatto e della disperazione.
7. Il regalo di 4.4 miliardi alle due più grosse banche italiane non servirà a metterle al riparo dei test europei, perché, come scrivemmo da soli, la Bce ha interdetto il trucco.
8. Ricordo che il deposto re Umberto, prima di partire per l’esilio, depositò i gioielli Savoia presso la Bd’I. Sono ancora lì, a dispetto degli eredi che volevano riprenderseli. E guarda che mi tocca, da repubblicano, dire: che il monarca fu (almeno in questo) onesto, mentre il governo della Repubblica tace su questo e sull’oro.
Il 20 sarà la Camera, ad occuparsene. Il senatore Mineo ha raccontato come sono andate le cose nel gruppo Pd: diversi hanno chiesto lo stralcio, chi per manifesta incoerenza del decreto, chi criticando il merito dell’operazione, tutti messi in minoranza. A Matteo Renzi vorremmo ricordare che a ciascun italiano, neonati e moribondi compresi, saranno tolti 125 euro, quindi più dei 150 salvati per le famiglie degli insegnanti (se sono in quattro fa 500). Così, tanto per fare i conti della serva. Forza Italia vota contro, ma non si batte. Tace. Sguscia. Che pena. Il M5S ha fatto 53 comunicati, che si trovano nel loro sito, non uno su questo. La vociante macchina degli scassatutto ha prodotto solo emendamenti. Come fossero un vecchio partitazzo.
Ci sono ancora nove giorni per provare a fermare questo orrore. Fra qualche anno usciranno libri in cui si denuncerà lo scandalo. Ed è questa la prova provata che la vita civile e politica, dalle nostre parti, è ridotta a scena miserevole.
Pubblicato da Libero