Politica

Pace e democrazia

Non c’è soluzione, non c’è pace possibile, sostengono alcuni, in terra di Palestina. Due popoli vivono schiena contro schiena in un territorio troppo piccolo, con disagi troppo grandi, con una storia di conflitto che non si esaurisce, anzi, si alimenta ad ogni morto, ad ogni azione, ad ogni reazione.

I palestinesi sentono il peso dell’asimmetricità della forza, venerano i loro martiri, coltivano il sogno di una terra libera. Gli israeliani sono una democrazia che ha provato le vie della trattativa e della pace, che in passato portarono a grandi successi, poi ha subito la necessità del conflitto. Una situazione nella quale gli estremisti si nutrono e crescono, da tutte le parti.
Ma non è vero che non ci siano vie d’uscita, non è vero che il pessimismo debba coprire le polveri del campo di battaglia. Si guardi il volto di Hussam Abdu, il ragazzo palestinese cui i soldati israeliani hanno salvato la vita, impedendogli di saltare in aria con il suo giubbotto al tritolo. Nei giorni precedenti aveva comperato i canditi e li aveva regalati ai suoi fratelli, aveva avuto parole dolci per la madre. Un ragazzo, un adolescente che vuole e regala affetto, che vuol comportarsi da uomo, ma è solo un bambinone, come tutti gli adolescenti del mondo.
Qualcuno può credere che a spingere il ragazzo alla morte sia stato il senso di ribellione agli attacchi israeliani. Ma ci vuol molto pregiudizio, per credere questo. A spingere quel ragazzo è stata una propaganda fanatica e pervasiva, presente nelle scuole palestinesi con libri finanziati da noi europei, in istituti che abbiamo pagato noi, con diffusori di morte che paghiamo noi: certo, noi europei non finanziamo le armi dei palestinesi, ma finanziamo quelli che inducono gli Hussam Abdu a saltare in aria, a raggiunger i martiri in paradiso, a credere, come dice Arafat, che nessun martire è migliore di un martire bambino.
Prima gli uomini bomba, ora i bambini e le donne bomba. I bambini imbottiti di fanatismo, prima che di tritolo, e le donne? Ah, le donne le s’imbottisce di una materia sempre buona, in ogni epoca, in ogni luogo: di vergogna e disonore. E da dove deriva il disonore e la vergogna? Ma da dove è sempre derivata, dalla fonte cui si è abbeverata la bestialità che non tramonta: dall’avere, la donna, concesso il proprio sesso fuori dalle regole che gli uomini si sono voluti dare. Che salti in aria, così la puttana sarà una martire, potrà ancora abbracciare, per l’ultima volta, i suoi bambini; così il cornuto sarà il vedovo di una martire.
Il relativismo culturale che avvolge la mollezza morale indica la via della comprensione e della convivenza: se quei popoli vogliono così regolarsi, ne hanno il diritto. Invece, no, non ne hanno alcun diritto. Anche perché quelle donne vorrebbero amare, restare con i propri figli, non morire; quel ragazzo ha il terrore negli occhi, vuole diventare adulto, non immolarsi. Sono, essi, oggetti nelle mani di terroristi. E non c’è relativismo culturale che tenga, i terroristi vanno eliminati.
Ma perché noi europei li finanziamo? Semplice, perché non vengano a fare i dinamitardi dalle nostre parti. Solo che, a forza di sputare nella ferita, l’infezione si è diffusa, e prendendo a pretesto (a pretesto, perché dei palestinesi non gliene importa niente) la causa palestinese una parte del mondo arabo ha avviato la guerra contro l’occidente, facendoci saltare in aria, noi europei, come fossimo ebrei. Brutta sensazione, vero?
Già, perché da noi i terroristi li facciamo fuori nei bar, senza che possano reagire, come fece Carlo Alberto Dalla Chiesa, per non parlare di come si regolarono in Germania. Varammo leggi speciali e, di certo, non ci mettevamo a piangere se un assassino restava sul selciato, morto ammazzato. Ma, quando guardiamo ad Israele, allora ci facciamo venire i mal di pancia: che macellaio, quello Sharon, ammazzare così un paralitico. Già, peccato che il paralitico è la stessa persona che istruiva i ragazzi a morire seminando la morte, che condannava alla stessa sorte le donne che avevano amato senza seguire le sue guerce regole. Che raggiunga il suo dio, con tutta la carrozzina, che, se esiste, non dubito gli presenti il conto.
E noi europei, noi, cosa possiamo fare? Di armarci per andare in Palestina non abbiamo nessuna voglia, e non sarebbe neanche utile; il terrorismo è già arrivato nel nostro territorio, e già ce la facciamo sotto, avendo sperimentato un millesimo di quello che gli israeliani provano ogni giorno. E se provassimo a fare gli europei, se provassimo ad esercitare la nostra arte migliore, il dialogo? Il che significa non solo la fine dei finanziamenti che per il tramite dell’Anp e di Hamas irrigano il terrorismo stragista, ma, anche, l’inizio di una campagna seria, forte, d’informazione. Dialogare non significa dar ragione agli interlocutori, ma far presenti le proprie ragioni. Mostriamo ai ragazzi, gli uomini di domani, alle donne, le madri del futuro, agli uomini, i responsabili delle loro famiglie, un modo diverso di intendere e vivere la vita.
Certo, attireremo la reazione rabbiosa di chi vuole i palestinesi miserabili ed ignoranti. A questi faremo la guerra, perché loro è la guerra che vogliono fare a noi. Questi sono uomini che vogliono la fine d’Israele, e la fine d’Israele sarebbe la fine di tutto il nostro mondo. Che è un mondo migliore di quello fanatico, suicida ed assassino.
Rimane il problema di due popoli diversi, con diverse lingue e diverse religioni in un territorio ristretto, e non ricco. Detta così, però, sembra la definizione dell’India, dove pure la democrazia si è affermata. Con tanti problemi, certo, ma si è affermata. Ha ragione Amartya Sen quando scrive che un popolo non deve essere pronto “per” la democrazia, ma “grazie” e “per il tramite” della democrazia. Ecco, questo è il lavoro che potremmo fare noi europei, se solo la smettessimo di pensare che cento morti ebrei sono meglio di un morto nostro, se solo la smettessimo di finanziare chi ci aiuta a mantenere quest’equilibrio.

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