Il presidente americano si sente «frustrato» e c’è da capirlo ed essergli solidali: sta facendo l’impossibile per consentire a Putin di vincere una guerra che l’altro perde da quattro anni e viene ricambiato con l’appoggio di Putin al Venezuela, ovvero contro gli Stati Uniti in una guerra che vincerebbero subito se soltanto la facessero. E non è la sola cosa che ne rende comprensibile la frustrazione.
Abbracciando la tesi di Putin, ha anche sostenuto che gli ucraini devono andare a votare e che il presidente in carica è da considerarsi scaduto. Tale tesi contrasta formalmente con la legge di guerra – adottata perché aggrediti dalla Russia – ma se l’ostacolo formale si può superare restano quelli sostanziali, ben più alti. Ad esempio: nei territori occupati dai russi si potrà votare? Perché se la risposta fosse negativa, sarebbe come riconoscere che quei territori non sono più ucraini, ma siccome lo sono ancora l’elezione sarebbe inficiata d’irregolarità fin dalla sua convocazione. Se invece la risposta fosse positiva, qualcuno dovrebbe spiegare come si pensa di fare la campagna elettorale e poi come ci si possa recare ai seggi per eleggere il presidente di un Paese di cui si nega quelle terre facciano parte. Senza contare che l’agibilità democratica dovrebbe essere garantita anche nei territori che i russi non occupano ma quotidianamente bombardano.
La risposta ucraina è poi il colmo della trumpiana frustrazione: andiamo a votare e facciamo anche un referendum per stabilire se possiamo cedere territori alla Russia e così conquistare la pace. Il risultato sarebbe scontato, il rifiuto sarebbe plebiscitario e anziché rendere più facili le cose le si renderebbero più difficili. Tirare in ballo la democrazia nel mentre è in corso una guerra espone a questi paradossi e alle conseguenti frustrazioni.
Invocare la pace non costa niente, ma non serve neanche a niente. E se Putin si mostra feroce con il suo migliore partner, se costantemente gli rende più complicata la vita, è perché non è Trump quello con cui difende il proprio presente e pensa il futuro, ma la Cina. Che a sua volta è considerata – a parole – il principale antagonista degli Usa, salvo il fatto che così la si favorisce.
Ciò aumenta la frustrazione alla Casa Bianca, che deve avere toccato un picco nel momento in cui la Camera ha approvato – con il voto convergente di repubblicani e democratici – il National Defense Authorization Act, vale a dire la legge che programma e finanzia la difesa americana per il 2026, nella quale si afferma che gli Usa restano fortemente legati alla Nato, con quella immaginano la loro difesa, per quella mantengono le proprie truppe in Europa (76mila uomini, cui aumentano anche la paga) e in quella si coltiva il fondo Purl per gli aiuti all’Ucraina. Ovvero il contrario di quello che sostiene la National Security Strategy, resa nota la settimana prima dalla Casa Bianca.
Noi europei si dovrebbe essere consapevoli che stiamo – da soli – tenendo in piedi la politica difensiva occidentale, mentre negli Usa le linee di politica difensiva divengono confuse e la base Maga ricorda di essere ostile all’imperialismo russo nel mentre il loro beniamino e presidente lo sta agevolando.
Dispiace che Trump si senta frustrato, ma se qualche cosa resterà dell’idea stessa di Usa e di Occidente lo si dovrà a noi europei che con tanto superficiale entusiasmo egli disprezza. Il che spiega infine perché non ha minimamente senso provare a barcamenarsi e fare gli amiconi sia di Bruxelles che di Washington, perché con queste premesse è solo il tentativo di condividerne la frustrazione. C’è una sola cosa che possa promettere il prolungamento della lunga stagione di pace che stiamo ancora vivendo: la promessa che aggredirci, anche per interposto territorio, costerebbe troppo all’aggressore. Una volta chiarito questo ci sarà spazio per la diplomazia. Nell’immediato il fronte ucraino può soltanto scendere d’intensità e sperabilmente fermarsi. Il che lo si dovrà ai Volenterosi e non ai falsi paciari.
Davide Giacalone, La Ragione 13 dicembre 2025
