Politica

Palermo come metafora

Il capolavoro panormense ha valore emblematico. In esso si ritrova per intero la cifra di una politica divenuta inutile. E’ il riassunto del coma politico in cui è precipitata la sinistra. Senza dimenticare che tutto questo avviene all’indomani di una gestione disastrosa della città, le cui scorse elezioni erano state vinte dal centro destra. Ci sono tutte le condizioni per guardare a Palermo (senza scomodare Leonardo Sciascia) come alla metafora d’Italia.

Le primarie furono una presa in giro propagandistica, destinata a propiziare le campagne elettorali per le politiche generali. Prima designando Veltroni e poi Prodi le primarie furono tre volte irragionevoli: a. fatte senza regole e con clamorosi falsi; b. fatte senza rivali effettivi; c. destinate a designare chi la legge escludeva ed esclude che possa essere eletto a capo del governo. Ad un certo punto il centro destra s’è ingelosito e ha desiderato fare anch’esso le primarie. Credo sia la prova del nove che trattavasi di bufala. Solo che nel passaggio dal nazionale al locale sono successe cose clamorose: primo, il Partito democratico le perde sempre, anche quando poi vince le elezioni; secondo, l’assenza di regole ha effetti paradossali.

A Palermo la giunta regionale, e personalmente Raffaele Lombardo, è riuscita a vincere le primarie per la designazione del candidato sindaco della sinistra, non facendone parte. Miracolo che sfida la potenza della santuzza (Santa Rosalia), perché anziché Bersani togliere la fiducia a Lombardo è Lombardo che ha tolto il partito a Bersani. Isti pi futtiri e fusti futtutu. Non è un risultato ribellistico, non è la forsennata ricerca del nuovo. E’ l’opposto: il desiderio di conservare un equilibrio. E ora li voglio vedere, già l’idea del riconteggio è suicida. Che fanno, s’imbrogliano nei brogli? Ma se non esistono le regole!

In casi come Napoli, Milano o Genova s’è lungamente argomentato sul fatto che gli alleati del Pd, segnatamente Idv e Sel, scippavano regolarmente il candidato al partito più grosso, dimostrando una presa più consistente sugli elettori delle primarie che su quelli chiamati alle urne ufficiali (i quali continuavano a dare al Pd il ruolo di più consistente partito della sinistra). A Palermo si è andati oltre: l’intera foto di Vasto è stata bocciata. Bersani, Di Pietro e Vendola hanno perso assieme. Sicché la regola va aggiornata: non solo gli alleati minori fregano il più grosso, ma basta che ci sia l’appoggio del Pd per condannare un candidato alla sconfitta.

Meritata, del resto. Perché la viltà si paga, nella vita come in politica. A Palermo il Pd (assieme a Idv e Sel) pretendeva che i cittadini di sinistra si sentissero rappresentati da un candidato il cui merito più conosciuto consiste nell’essere il congiunto di un magistrato ammazzato, il quale ultimo era di destra. Tutto ciò in nome di cosa, dell’affrancamento dall’affarismo e dalla morsa delle alleanze esterne? In questo caso il Pd deve avere il coraggio d’essere conseguente e far cadere la giunta regionale. Non se la sentono? Bravi, allora sentano lo schiaffo primario.

Ed è qui che Palermo diviene metafora. Di una sinistra senza idee, che poteva anche succedere ad una destra senza idee, ma mettendo in scena l’inutile. Di una politica che non si sottrae alle cointeressenze, perché manca della forza ideale per essere altro che inutile gargarismo. Di una cittadinanza rassegnata a votare il meno peggio, o a giudicare meno disdicevole il non votare proprio. Di una lotta in cui gli unici alleati veri sono quelli che, nel fronte opposto, vogliono far perdere l’avversario. Di un pantano nel quale s’annaspa restando fermi, perdendo non solo la forza, ma anche la speranza che le cose cambino. Di più: irridendo chi ancora crede che possano cambiare. In queste condizioni c’è un solo mondo per rispondere alla domanda su chi vincerà le elezioni: e chi se ne frega. Siccome è inaccettabile, siccome non è bello seppellire ancora una volta la speranza dei palermitani, si dovrebbe rivedersi a Quarto (da dove partirono i Mille). Per liberarci dalla metafora.

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