Politica

Palta su palta

Le più belle pagine di storia democratica, nel mondo, parlano di scontri durissimi o di generosità istituzionale. In Italia sconosciamo entrambe le cose, abbandonandoci al soffiare sull’odio o all’usare le istituzioni per colpire l’avversario. Le ondate di palta si susseguono ad un ritmo così serrato che ancora non c’è la risacca di una che già s’infrange l’altra, innescando una specie d’assuefazione di massa, che eleva a potenza sia il rifiuto della politica che la voglia faziosa di cancellare chi non sta dalla propria parte.

Non ho nulla contro Michele Santoro, che è un professionista con i fiocchi. E’ un uomo schierato, fazioso, che porta la forza delle proprie convinzioni in quello che fa, e quello che fa lo ha anche portato ad essere un parlamentare europeo della sinistra. Il che mi va benissimo, perché se possono diventare parlamentari i magistrati, per poi tornare a pretendere di giudicare gli altri, non si vede perché la stessa cosa non possa farla un giornalista. C’è una sola cosa stonata: che ciò avvenga a spese degli italiani.

E’ irragionevole che, in piena campagna elettorale, si chiudano i dibattiti politici televisivi, ma è ancora più irragionevole che si pretenda di gestirli con il bilancino, come volle la sinistra. E’ irragionevole che a taluni sia consentito fare politica dalla televisione di Stato. E’ irragionevole, in piena era digitale, che esista una televisione di Stato. Controllata da una commissione parlamentare, che rappresenta l’unico esempio al mondo (libero) di politici che controllano i giornalisti, anziché il contrario. In un mercato regolato da autorità non solo nominate dalla politica (come avviene ovunque), ma inzeppate di soggetti che continuano a fare politica. (Vedo, scusate la parentesi, che se n’accorgono anche al Corriere della Sera, rilevando che le autorità non possono seriamente funzionare se le loro decisioni sono ricorribili al Tar, grazie, lo scrivevo nel 1991). La soluzione c’è: privatizzare la Rai.

Santoro, però, non è un frutto della lottizzazione. La Rai, proprio in quanto azienda di Stato, non può che essere lottizzata. Lui, però, rappresenta il superamento della lottizzazione. Non è il solo, è il più bravo. Santoro supera la lottizzazione perché quel sistema serviva a piazzare gli amici dei partiti, incaricati di difendere la loro parte, lui, invece, rappresenta e promuove se stesso. Per giunta in un sistema nel quale se solo provi a dire che forse si esagera, che, magari, dovrebbe poter parlare anche qualcun altro, subito scatta l’allarme per la difesa della libertà. La sua, però, solo la sua. Ottimamente retribuita, per giunta.

Silvio Berlusconi, al telefono con la persona sbagliata, lamenta che dopo ogni sua trasmissione aumenta il livello di pericolo cui è esposto. Probabilmente è esagerato, e sicuramente il fatto che la seconda Repubblica ruoti tutta attorno a Berlusconi è un vantaggio per chi ha fatto dell’antiberlusconismo lo scopo della propria vita (professionale, spero), ma anche per lui stesso. Certi fenomeni, insomma, si reggono a vicenda. Ma che il santorismo sia un sistema per mettere in scacco la democrazia noi lo avvertimmo molti anni fa, quando vedemmo debuttare le piazze, quali protagoniste del pensiero politico. Non le persone, non i cittadini: le piazze.

Usando quello strumento, settimana dopo settimana, è il santorismo che ha preso il posto della politica, sottraendo spazio all’opposizione politica, cioè alla sinistra. Le sue trasmissioni contro Berlusconi (e i suoi) sono concepite in modo tale da danneggiare prevalentemente chi, in Parlamento, gli si oppone. Il santorismo non ha bisogno di proposte sulle quali costruire il consenso, perché gli basta alimentare e cavalcare il dissenso, costringendo la sinistra ad inseguirlo. E’ la sinistra, quindi, che dovrebbe porsi il problema di quel potere incontrollato. Invece se lo pone Berlusconi, e noi, che già lo sappiamo, perché lo dice e ripete in continuazione, ne abbiamo conferma anche da quell’immensa fontana d’intercettazioni ch’è divenuta la procura di Trani, fornitrice instancabile di sbobinature dalle quali emerge un grande reato: la loro esistenza e la loro diffusione.

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