Politica

Pannella oltre Tevere

Marco Pannella non merita d’essere seppellito nella melassa retorica. Non c’è ragione per oltraggiarne così la memoria, se non quella dei commemoranti che puntano ad appropriarsi di una parte delle spoglie. Magari senza neanche conoscerle bene. La sua azione politica fu originale e divisiva, tutto l’opposto dell’unanimismo condolente. Ciascuno degli odierni piangenti, se solo attivi in qualche parte della commedia pubblica, ha avuto occasioni per serrare i denti e trattenere la propria reazione ostile, a Pannella. Lui, del resto, non è che non facesse nulla per evitare di tornare sui temi di rottura, è che ce la metteva tutta per tenerli in bella evidenza. Sì, era narciso (chi non lo è, passando la vita a spiare le reazioni del pubblico?), ma non uno disposto a cambiare per conquistare, semmai l’opposto: voleva che gli altri cambiassero, dimostrandogli ammirazione e devozione. Senza sconti.

Nel nostro mondo, laico e liberale, nel nostro piccolo pianeta di minoranza, in un Paese codino e che fu comunista, salvo poi cessare d’esserlo senza volere ammettere neanche uno dei numerosi errori commessi, in quella terra ristretta di democrazia occidentale, che i transfughi degli ideologismi e dei fideismi poi dissero (bugiardi) di avere abitato da sempre, Pannela era certo cittadino di rilievo. Ma, anche in questo caso, più interessato a essere sé stesso che a esserne parte. Il caso del divorzio è esemplare: la legge fu elaborata da un liberale (Antonio Baslini) e un socialista (Loris Fortuna), fu poi fatta approvare grazie a una maggioranza composita, resa possibile da un diverso equilibrio di governo, inevitabilmente incentrato sulla Democrazia cristiana. Il referendum lo vollero gli integralisti cattolici, convinti di vincerlo. A raccogliere le firme furono Gabrio Lombardi e i suoi comitati. Eppure, se domandate in giro, molti vi diranno di sapere che il divorzio, in Italia, fu introdotto grazie a Pannella. Lui difese il referendum (che era contro, non a favore della legge), perché difese il diritto di votare, posto che una parte del fronte divorzista, e segnatamente i comunisti, accarezzava l’idea di un compromesso, pur di schivare le urne. Lui rilanciava: dopo il divorzio passeremo all’aborto. Fino al punto che, in quella campagna, la sola e grande manifestazione laica e divorzista vide sul palco Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Pietro Nenni e Giuseppe Saragat. Mano nella mano. Loro, insieme alla maggioranza degli italiani, vinsero il referendum. Pannella se lo intestò. Anche per questo, anche per queste irriducibili differenze e rivalità, quel piccolo mondo non riuscì mai a essere una sola forza politica. Ciò non toglie che rimase grande e molto l’Italia civile gli deve.

Urticante, quindi, il Pannella divisivo. Ma lo fu anche quando la ragione era totalmente dalla sua parte. La sua battaglia per la giustizia fu ed è esemplare. Il suo impegno per la responsabilità dei magistrati e per la separazione delle carriere rimane un dovere da adempiere. Furono gli altri, in questo caso, a lasciarlo solo. O, meglio, a fargli compagnia a chiacchiere, salvo trattarlo come un esaltato. Pazzi, invece, erano loro, poi travolti dai frutti della loro stessa folle incoscienza, dal loro affrontare i magistrati da imputati, non avendoli saputi affrontare da politici, legislatori e governanti.

L’ultima volta che ci confrontammo in pubblico, disse che avrebbe voluto prendere la cittadinanza vaticana, affasciato dal nuovo pontefice. Gli promisi che lo avrei salutato, standomene sull’altra sponda del Tevere. Mantengo la promessa.

Pubblicato da Libero

Condividi questo articolo