Politica

Paralisi costituzionale

Il voto a oltranza cerca di salvare la speranza. Il resto è perso, perché la protratta incapacità di eleggere tre giudici costituzionali non segna un problema di galateo parlamentare, né segnala una incapacità politica: scolpisce una mancanza istituzionale, frutto dell’assenza di una maggioranza capace di adempiere ai doveri costituzionali. In condizioni meno gravi il presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, comunicò che se non si fosse proceduto all’elezione sarebbe stato lui a convocare le elezioni, sciogliendo il Parlamento. Qui, invece, si consente di sperare che sia il Natale, o, per essere più precisi, le vacanze di fine anno, a rimediare. Davvero poco commendevole.

La prima votazione risale al 12 giugno 2014. Destinata a eleggere due giudici costituzionali. Ora ne mancano tre. La non completezza del collegio, per un così lungo tempo, non può che riflettersi sulle decisioni della Corte, la cui maggioranza utile scende, salendo il rischio che manchi il numero legale.  Ma la cosa è ancor più grave, se solo si pone mente a un fatto: la Corte è composta da 15 membri, nominati, per un terzo, dal Quirinale, eletti, per un terzo, dalle magistrature e, per il rimanente terzo, dal Parlamento. Questo significa che non mancano 3 giudici su 15, ma 3 sui 5 di nomina parlamentare. Ciò comporta che la Corte, da un anno e mezzo, decide monca della gran parte della sua componente più legata alla sovranità popolare. Ed è questo il punto. Questa la ragione per cui l’atteggiamento allora assunto da Cossiga non era affatto esagerato.

Si può sperare che minacciando d’intaccare le loro vacanze i parlamentari si decidano a eleggere i giudici mancanti. Vedo che i presidenti delle Camere quasi se ne vantano: da ora in poi si procede senza sosta (si fa per dire: una volta al giorno). Ma questo non solo non cambia, ma aggrava la mancanza di una maggioranza costituzionale. Se ci riescono, prima delle vacanze, è segno che quelle contano più della Costituzione. A questo punto è quasi meglio falliscano ancora. Almeno fino alla Befana.

Tale spettacolo, del resto, per lungo tempo denunciato dai soli radicali e tollerato da tutti gli altri, va in scena in un Parlamento la cui maggioranza politica, ovvero quella che regge il governo, è figlia del trasformismo, con eletti da una parte che si ritrovano da quell’altra. Non condivido il lamentio disinformato, sul fatto che il presidente del Consiglio non è mai stato eletto, per la semplice ragione che nessun inquilino di Palazzo Chigi è mai stato eletto. Ma una cosa è arrivarci da espressione di una maggioranza a sua volta votata, altra insediarsi in un contesto di totale e ripetuto disallineamento dal voto popolare. Se a questo si aggiunge l’assenza di una maggioranza capace di adempiere ai doveri istituzionali, a sua volta figlia del fatto che i due schieramenti (teoricamente) antagonisti sono divisi al loro interno (al punto da far fuori, entrambe, propri candidati), mentre il gruppo ortottero è confinato nella testimonianza e nel rifiuto della trattativa, ne deriva il blocco dell’attività parlamentare. Causa più che sufficiente per tornare davanti agli elettori e chiedere la loro opinione.

Non si farà. Non conviene a nessuno. Ma faccio osservare un ultimo dettaglio: senza maggioranza costituzionale questo Parlamento sta cambiando la Costituzione, condendola con una legge elettorale destinata a irrigidire mortalmente la sola Camera sopravvivente. Forse la prudenza non consiste nel far finta di nulla e lasciare correre.

Pubblicato da Libero

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