Politica

Parole maligne

Roba da cinema, al festival di Venezia, ma non in sala proiezioni. Un Presidente della Repubblica in gran forma ha deciso di farci il regalo di confermare molte nostre osservazioni, sbugiardando i soccorritori indesiderati, che cercano sempre di attribuire alle sue parole un significato diverso da quello che hanno. Giorgio Napoletano fa politica in modo attivo, considerando il testo costituzionale una sorta di traccia, un punto di riferimento, ma non un binario sul quale far scorrere la sua presidenza.

“Si va verso una evoluzione più benigna” ha detto della situazione politica, subito dopo aver affermato di non volere fare previsioni. Tanto ottimismo ci riempie di speranza, ma è la situazione costituzionale ad essersi incancrenita, ricevendo un’altra, potente botta. Ai giornalisti che gli chiedevano il suo pensiero sul “processo breve” ha risposto che di queste cose ha molte volte parlato mentre il Parlamento discuteva della legge sulle intercettazioni, che, difatti, è scomparsa dall’orizzonte politico. Nessuno avrebbe potuto descrivere, con maggiore sintesi ed efficacia, il deragliamento istituzionale che qui, da tempo, denunciamo. Grazie, quindi.

Non saremo noi a vestire il lutto per la scomparsa della norma sulle intercettazioni, che ci sembrò inutile, inefficace e, per certi aspetti, controproducente. A quel pateracchio si arrivò sia per lo sfarinarsi della maggioranza che per l’incapacità tecnica di quanti ne avevano redatto il testo. C’è un dettaglio, però: il Quirinale non ha il diritto d’intervenire sul processo legislativo, non può e non deve anticipare giudizi sui testi in discussione, influenzandone il contenuto mediante la minaccia di far mancare la controfirma. Noi vedemmo, nella condotta di Napolitano, i segnali di un progressivo e preoccupante discostarsi dalla Costituzione, ma restammo isolati, mentre opinionisti e pensatori cortigiani ci ammonivano a non perseverare nell’irriverenza. Ora è il diretto interessato a confermare le nostre analisi. Grazie, ancora.

Lo fa tornando a svolgere una funzione politica, che la Costituzione nega. Non è sfuggito a nessuno che proprio nei solchi tracciati dal Colle è scorsa gran parte della spaccatura nella maggioranza. Ed è proprio l’annunciata resistenza del Presidente, questa volta nel pieno esercizio delle sue prerogative (che, però, non prevedono le anticipazioni), all’ipotesi di scioglimento delle Camere ad avere offerto lo spazio a molte altre micro rotture, risvolto di tanti micro ricatti, che puntano a neutralizzare chi ha, per tre volte consecutive in due anni, raccolto la maggioranza dei voti. Difatti, Napolitano non aveva ancora finito di parlare, fra un motoscafo e una passerella, che, con una puntualità imbarazzante, già è risalita la tensione interna alla maggioranza (ammesso che sia mai scemata). Uno dei finiani ha anche scoperto la vocazione oppositoria ad un testo di legge che nasconderebbe l’amnistia, laddove il medesimo testo era stato votato dall’intera maggioranza, compresi quelli la cui coscienza non era ancora stata illuminata.

All’epoca delle intercettazioni Napolitano intervenne anche sul calendario dei lavori parlamentari, probabilmente nostalgico di quando occupava il posto che oggi è di Fini. Non fu una svista, ma una ponderata scelta. Oggi, ribadendola, torna a rafforzare il concetto: la politica deve occuparsi d’economia. In sé non è un’affermazione pregna di contenuti, ma ha già annunciato che provvederà a dettagliarli nel messaggio che invierà a Cernobbio. Anche quello non previsto dalla Costituzione. Nel frattempo le sue parole servono a far sapere che non ritiene il governo e il Parlamento si siano occupati d’economia, che la “manovra” è stata solo una pezza, per giunta insufficiente, e che anche la politica estera lascia a desiderare, visto che le iniziative vere dovrebbero essere prese in sede internazionale. Tutte tesi non bislacche, salvo il fatto che si trovano in bocca alla carica sbagliata.

Visto che il Presidente pratica il dileggio nei confronti del governo e non nasconde affatto la sua sfiducia nella politica di Giulio Tremonti, anche questa va presa come un’indicazione: sono fuori strada quanti pensano che il Quirinale stia covando un governo tecnico, magari affidato al ministro dell’economia, semmai si sta delineando un governo gestito direttamente dal Presidente, che ne fissa programma e calendario.

Quando formulammo le nostre osservazioni non eravamo animati da alcun preconcetto, né ci lasciavamo guidare dal dissenso verso la storia politica di Napolitano, che è Presidente di noi tutti. Osservammo la realtà. Oggi non ci lasciamo trascinare in polemicuzze e ripicche, e non mi sfugge affatto quanto sia pericoloso lo stallo governativo, la prospettiva del non-governo. Ma sento l’obbligo di ricordare che non arriverà nulla di buono dal far finta di non vedere a quale logoramento è sottoposto un testo costituzionale che meriterebbe d’essere riformato, non massacrato.

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