Il presidente del Consiglio si reca oggi in Parlamento, non perché ci sia qualche cosa da dire, ma perché non si può non dirlo. Prende la parola non perché gli sia stato rimproverato il silenzio, condotta cui si sono adeguati quasi tutti i governanti europei, ma perché il ministro dell’economia l’ha persa. E’ un passaggio delicato, nel quale dovrebbe affermarsi la saggezza e non è escluso prevalga, un po’ da tutte le parti, l’aizzare o il restar succubi dello scontro.
Dal punto di vista politico Berlusconi non potrà che riconfermare quanto già detto e commentato: la maggioranza del 2008 non c’è più e non tornerà, ciò non di meno il governo dispone di una maggioranza parlamentare, che potrà durare, ma non per questo divenire politica. Le cose sono in movimento, ma le carte si scopriranno solo all’approssimarsi delle elezioni, quando ciascuno dovrà decidere se mettere in scena le contrapposizioni stancamente eguali o lo sforzo di pensare al futuro.
Dal punto di vista economico il governo ha appena varato una manovra d’aggiustamento, grazie anche all’atteggiamento benevolo dell’opposizione, a ciò indotta dal Quirinale. Questo pomeriggio non potranno essere annunciate nuove misure, specie alla vigilia di un incontro con le parti sociali. Se si anticipassero piccoli provvedimenti o intenti meramente programmatici si otterrebbe il sono risultato di bruciarli e farseli bocciare dai mercati. Se ci si dedicasse a misure più ruvide, allora sarebbe una chiamata all’incombente emergenza. Non è questa, mi pare, l’aria che tira. Per il resto, la speculazione sui tassi d’interesse del debito pubblico rivela una deficienza strutturale dell’euro, rispetto alla quale possiamo fare poco, se non mettere ordine in casa nostra.
Berlusconi va a coprire un vuoto, perché il governo aveva delegato a Giulio Tremonti il ruolo di garante del debito, consegnandogli un potere enorme, e se lo ritrova azzoppato, in maniera evidente. Sul punto è bene essere chiari, perché vivere la faccenda come uno scontro interno al governo è come dire che non si ha chiaro il contesto nel quale ci si muove. Tremonti non è indagato, ma lo è chi gli è (o era) molto vicino. Il tema non è il suo domicilio temporaneo, ma la gestione del potere ministeriale. Noi garantisti applichiamo a tutti lo stesso metro e se un cittadino dice d’essere innocente gli crediamo (fino a prova del contrario, naturalmente). Così come riconosciamo ad un ministro il diritto di tacere, non essendo tenuto a dar conto di accuse che neanche gli vengono formalmente mosse. Ma una cosa è il silenzio altra le parole avventate. Neanche Claudio Scaiola era indagato, ma la sua affermazione circa il desiderio di rivalersi su chi gli aveva pagato la casa superò il limite del ridicolo, portando a inevitabili conseguenze. In questo frangente Tremonti non può dire: “mi sono dimesso da inquilino”, piuttosto taccia, ma a noi importa poco dove dorme, perché la questione è relativa a cosa succede in ufficio.
Fino a qualche settimana fa Tremonti poteva bloccare qualsiasi suo collega, giocare una partita per il prossimo governatore della Banca d’Italia e mettere bocca negli equilibri editoriali dei maggiori quotidiani. Ora il Corriere della Sera commissiona a Sergio Romano il metterlo pubblicamente in mora, senza risparmiargli la replica alla risposta. Quando si esercita un potere reale è come quando si va a vela in alto mare o si scala una montagna: mai credere che il clima sia immutabile.
Oggi Berlusconi va in Parlamento a dire che la situazione creatasi non indebolisce il governo, le cui politiche sono confermate. Non può esimersi, ma eviti un sovrappiù polemico, perché è vero che in giro si vedono più debolezze che forze politiche, ma è anche vero che la debolezza può produrre tracolli violenti.