Politica

Partito dal Sud

Ancor prima del “partito del Sud”, non mi convince il modo in cui se ne parla. I partiti a base regionale hanno due possibili origini: o la storia, oppure la protesta. In Italia ne abbiamo del secondo tipo, il che presuppone la guida di un leader forte e riconosciuto ed un proporsi tendenzialmente separatista, che rimane

tale anche quando allo stato latente. La Lega, per intenderci, appartiene a questa seconda categoria.
La cosa singolare è che a parlare di partito del Sud siano alcuni esponenti della maggioranza, che è tale perché ha sbaragliato la sinistra proprio al Sud. Il tema, pertanto, va definito in modo più preciso, e molto diverso dalle cose che leggo in giro: mentre la Lega ha un forte radicamento elettorale al Nord, ed una ancora più forte capacità di condizionamento nei confronti del governo, alcune componenti del Pdl hanno sì un forte radicamento elettorale al Sud, ma non contano quasi nulla nel governo. E’ lo squilibrio fra queste due posizioni a generare il problema, pertanto eviterei di scomodare ideologi e compilatori di programmi, perché non porta fortuna vestire con idee posticce i conflitti di potere. Cercare precedenti storici, poi, è avventuroso: il milazzismo fu affare di palazzo, il brigantaggio fu retrivo e l’avventura di Giuliano a cavallo fra la farsa e la tragedia. Meglio evitare.
Nei lunghi anni della prima Repubblica gli interessi del Sud erano fortemente rappresentati nei e dai partiti nazionali. I governi avevano non solo una composizione, ma anche una particolare attenzione al Sud. La “questione meridionale”, insomma, ha esercitato una discreta capacità egemonica, ed ottenne anche dei risultati, specie nella prima stagione centrista. Solo che non ha risolto i problemi del Sud ed ha generato lo spazio in cui s’è inserita la protesta di un partito radicato al Nord. La responsabilità di ciò ricade, per buona parte, sulle classi dirigenti e sulla società del Sud. Essendo (orgogliosamente) figlio del meridionalismo democratico, so di che parlo.
Detto questo, credo siano vere due cose, apparentemente contraddittorie: a. c’è un grande spazio elettorale per chi voglia raccogliere la protesta del Sud; b. l’interesse del Mezzogiorno, però, consiste nel proiettarsi in Europa, nello scavalcare le Alpi, laddove i regionalismi rischiano di spingerlo nel Mediterraneo, alla deriva verso l’Africa. Chi raccogliesse la protesta del Sud, senza avere una forza nazionale, nella quale farla valere, si troverebbe fra le mani materiale altamente tossico. La contraddizione, pertanto, è apparente, nel senso che il Sud aspetta ancora un suo interprete all’altezza del compito, che sia pregno di quella grande cultura, ma impermeabile sia alla broda della clientela querula che alla guazza fetente del ceto intrallazzone. Quando si farà riconoscere, sarà un leader nazionale, non dialettale.
Parlerà una lingua diversa. Chiederà legge ed ordine, con un impegno dello Stato a far rispettare se stesso. Proporrà ai meridionali di non coltivare il diritto a chiedere, ma di pretendere il diritto a fare. Non invocherà nuovi finanziamenti, ma vorrà che la ricchezza del Sud sia volano per lo sviluppo del Sud, e tradurrà questo concetto descrivendo una politica fiscale che incentivi lo sviluppo e l’arrivo di capitali dal resto del mondo, invertendo la scandalosa pratica del Sud criminale che inquina dei propri zozzi capitali il resto del mondo. Non cascherà nella trappola per beoti, immaginando inconciliabili turismo ed industria, ma punterà sull’industria del turismo, incentivando il turismo dell’industria. La terra arretrata diverrebbe trampolino poliglotta, con una collocazione geografica da valorizzare, anziché commiserare.
Tutto questo ha poco a che vedere con la richiesta, magari anche legittima, di avere un ministro e due sottosegretari in più, raccogliendo una truppa che ha militato in tutti gli eserciti, dimostrandosi daltonica alle bandiere.

Condividi questo articolo