Politica

Pensiero Pellegrino

La storia del biennio 1992-1994 deve ancora essere scritta, non è neanche stata abbozzata, come anche quella relativa agli anni che seguirono. Un contributo importante viene adesso da Giovanni Pellegrino, che è stato parlamentare pci, pds e ds, è stato presidente della commissione stragi, ed ora è presidente della provincia di Lecce. Ha detto cose importanti.

Le ha dette partecipando, nella sua città, ad un convegno di Società Aperta, il movimento, presieduto da Enrico Cisnetto, dove si raccolgono persone che preferiscono credere ai propri occhi, piuttosto che alle favole. Tra le altre cose, Società Aperta alimenta una dura critica al bipolarismo politico, così come si è realizzato, sostenendo che vi è un nesso inscindibile fra crisi della politica e declino economico, e non si stanca di denunciare i mali profondi e drammatici della giustizia italiana. Pellegrino ha preso la parola ed ha sostenuto due tesi assai rilevanti.

La prima: non è che non funziona il bipolarismo, non funziona, semmai, la versione italiana. E la ragione di questo sta nella sua genesi. E’ evidente, ad esempio, che il sistema uninominale del Senato (che era così anche durante la cosiddetta prima Repubblica) ha una sua logica ed una sua coerenza, che, invece, mancano a quello con cui si elegge la Camera (frutto dei referendum Segni), ma questo dipende dal fatto che noi della sinistra ci convincemmo della sua utilità perché contavamo di vincere.

Il ciclone giudiziario aveva spazzato via i partiti politici che componevano l’allora maggioranza di governo, ricorda Pellegrino. Noi del pds sapevamo bene di essere una minoranza elettorale, sapevamo bene di non potere neanche lontanamente aspirare a prendere la maggioranza dei voti, ma, con quel sistema elettorale, contavamo di prendere la maggioranza degli eletti. Ci sbagliammo, e perdemmo le elezioni del 1994.

Dopo di che si sono perse due occasioni storiche. La prima l’ebbe Berlusconi, che si ritrovò con la maggioranza alla Camera e senza maggioranza al Senato. La seconda l’ebbe Prodi, che aveva la maggioranza al Senato, ma non l’aveva alla Camera (dove occorrevano i voti di rifondazione comunista). Le due occasioni andarono sprecate ed il sistema elettorale rimase quel che era. E non funziona.

La seconda tesi è questa: è evidente a tutte le persone ragionevoli che la macchina della giustizia non funziona, e Pellegrino dice di condividere la denuncia fatta da Società Aperta, ma non si riesce a porre rimedio perché la giustizia è divenuto un terreno di puro scontro politico. Attenzione, la tesi non è affatto banale o scontata, non ha detto che è divenuto il terreno dove taluni fanno prepotenze o vogliono sfuggire alle sentenze, ha detto che del merito non ci si occupa perché si alimenta lo scontro.

Vale a dire che le persone ragionevoli non possono calpestare quel terreno giacché, da una parte e dall’altra, prevale la necessità di mantenerlo zona di guerra.

Fin qui Pellegrino. Aggiungo (e penso lui sarebbe d’accordo), che fra le due tesi c’è un nesso profondo, un nesso che le lega a molti altri elementi di crisi del sistema, e tale nesso va cercato proprio nel biennio che vide scomparire le forze politiche democratiche, vide sconvolti gli equilibri istituzionali, assisté alla nascita di una nuova forza politica ed alla riconversione funzionale dei comunisti.

Se si pensa di scavare fra le macerie di quegli anni per trovarvi l’arma contundente con cui demolire l’avversario politico, è evidente che si otterrà il solo risultato di continuare a versare, su quelle macerie ancora fumanti, camionate di bugia, ipocrisia, malacoscieza. Ma avanti non si va, costruire non si costruisce niente di solido, se le basi poggiano su quel terreno sconnesso, insidioso, infiltrato velenosamente. Ecco perché il lavoro deve ancora essere cominciato, e Giovanni Pellegrino torna (lo aveva già fatto con un libro sui misteri d’Italia) a segnalarsi quale interlocutore prezioso.

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