Politica

Pensioni e liberi pensatori

Giuliano Amato ha ragione, il suo monito sull’insostenibilità del sistema pensionistico è giusto, la sua osservazione sul continuo impoverimento dei più giovani, a favore di quanti hanno l’anagrafica fortuna di poter riscuotere una rendita che sarà doppia rispetto a quella che lasceranno ai figli, è fondata.

Non si tratta di rompere un patto generazionale, sostiene, perché quel patto non c’è mai stato. Semmai sono quelli venuti prima, quando erano politicamente e sindacalmente più forti, ad avere unilateralmente provveduto ad appropriarsi di parte della ricchezza che sarebbe spettata a chi allora contava poco e nulla. Tutto vero. Però lascia interdetti questa progressiva trasformazione di non pochi ministri in liberi pensatori. Si può consentire o dissentire, ma è difficile accettare che un ministro dica cose sagge ed assennate quando veste i panni del saggista, quando si mostra pensoso delle sorti collettive, per poi restare seduto in un governo che pratica una dottrina diversa, se non direttamente opposta.
Il governo Prodi discute dell’ipotesi di allontanare ed ammorbidire l’innalzamento dell’età pensionabile, e nel mentre ne discute annuncia agli statali un aumento dello stipendio, quindi della spesa pubblica. In altre parole, il governo si propone di aumentare il prelievo a sfavore dei più deboli e meno rappresentati. Ora, su questo, non è che si debba scrivere un saggio, ma prendere una posizione politica. Io stesso, che non ho responsabilità alcuna e mi limito ad esprimere delle opinioni, ogni volta che lo scrivo ricevo proteste di chi si ritiene potenzialmente danneggiato e pensa, talora non a torto, ad avere maturato “diritti” cui non intende rinunciare. Non è piacevole, è più comodo dare ragione a tutti e farsi sempre dire bravo. Solo che, per un opinionista, è inutile. Ma per chi governa non è solo segno d’inutilità, bensì anche di grave danno alla cosa pubblica.
Aggiungo che spesso, quando si spiega e si ragiona, quando si risponde che non sarebbe degno di un buon padre mangiarsi i soldi dei figli, capita che l’interlocutore adirato modifichi il suo atteggiamento, quanto meno sia indotto a riflettere. Perché nessuno, al governo, vuol fare questo lavoro? La risposta è triste: perché si vive la politica come se fosse un’eterna campagna elettorale, un continuo disputarsi i consensi a spese delle casse pubbliche. Il che è segno di una miseria che parte dall’intelletto e finisce nella morale.
Amato ha ragione, dunque, ma le sue tesi dovrebbe farle valere nei confronti dei suoi colleghi prima ancora che verso i pazienti lettori.

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