Politica

Perché No

Più osservi e ascolti i comitati per il No (al futuro referendum sulla riforma costituzionale), più cresce la tentazione di votare Sì. Temperata dalla voglia di andare in gita e mandarli a spigolare. Bisogna concentrarsi sulla sostanza reale della riforma, per tornare a considerare utile la campagna referendaria. Non si tratta di volere rimettere indietro le lancette dell’orologio, perché il bicameralismo paritario di quel passato-presente ebbe un ruolo positivo in anni lontani, mentre era ed è un impedimento al funzionamento dell’Italia. Si deve, semmai, pensare al futuro, rendendosi conto che questa specifica riforma ci farà correre il pericolo d’innescare degenerazioni peggiori. Non si tratta di conservare quel che già non ci piaceva, ma di non immolare sull’altare di quel rifiuto ciò che, invece, è prezioso. E se non si vuole che i comitati referendari siano intrisi della retorica sulla “migliore Costituzione del mondo”, che oltre a essere stucchevole è anche per niente credibile in bocca a chi sostenne il contrario, occorre che una parte del mondo politico, segnatamente i moderati del centro destra, ammettano di avere commesso errori gravi.

La riforma, significativamente denominata “legge Boschi”, quindi riconducibile al governo, laddove questa è materia schiettamente parlamentare, tocca diversi aspetti, compreso il tentativo di rimediare alla pessima riforma costituzionale sulle regioni e le autonomie locali, che la sinistra volle imporre, nel 2001, per far concorrenza elettorale al federalismo di marca leghista. Ma uno solo è il tema di cui si parla: la cancellazione del Senato e la fine del bicameralismo fin qui esistito. Primo punto: il Senato resta dov’è, sicché la propaganda è mendace. Diventa una Camera delle autonomie, che avrebbe senso in uno Stato federale. Il nostro non lo è (ed è bene che non lo sia), quindi non ha senso. Secondo punto: la Camera legislativa che residua sarà eletta con un sistema a premio unico nazionale di maggioranza, sconosciuto nel mondo. Tradotto, significa la consegna di tutti i poteri a una maggioranza non creata dal sommarsi delle scelte degli elettori, quindi dall’elezione dei singoli candidati, in collegi uninominali, ma dalla riffa di un ballottaggio unico, che farà eleggere una mandria di parlamentari sconosciuti ai loro elettori. Queste sono le due solide ragioni per cui è ragionevole rifiutare la riforma. Maledicendo l’arrogante spregiudicatezza di chi, così, getta via l’occasione di una pur necessaria riforma costituzionale.

Si lasci perdere tutta la gnagnera sull’eccessivo rafforzamento del governo, perché il nostro problema costituzionale, nel passato-presente, è la sua debolezza. Era ed è giusto andare in quella direzione, ma è avventuroso e pericoloso farlo smidollando il Parlamento. Non rimpiangendo il passato, ma guardando al futuro, alla luce di quel che abbiamo sotto gli occhi, già sappiamo quali costumi deriveranno da una simile riforma: o una platea parlamentare sovrastata dal potere di chi decide le candidature, la distribuzione dei bonus e la soddisfazione delle clientele, quindi un Parlamento a direzione partitica e incarnazione governativa; oppure la reazione con la decomposizione, ovvero il consolidarsi del già patologico trasformismo, talché gente eletta con i voti degli uni andrà (come va) a popolare le fila degli altri. Il veleno sta nell’interazione fra quella riforma costituzionale e la già fatta riforma del sistema elettorale. Berlo per soddisfare la sete di cambiamento è, a dir poco, irragionevole.

Queste cose le scrivemmo prima, durante e dopo. Non credo possa sostenerle chi queste riforme ha votato, anche se poi ha smesso di votarle, dopo averne consentito l’impostazione. Non può farlo un centro destra, una Forza Italia, che non ammetta l’errore e non cerchi di darsi una classe dirigente diversa. Il che vale anche per gli esponenti del Pd perdente. Neanche nel caso in cui il patto del Nazareno (come auspicai) avesse avuto una sua versione economica, sarebbe stato sano consentire il varo di un simile bastimento. Comunque, non accadde. Non abbiamo avuto né tagli della spesa pubblica, né abbattimento del debito, né diminuzione della pressione fiscale (cresciuta). Se sperano che qualcuno li stia ad ascoltare, se non vogliono esser presi per dei saltapicchio della chiacchiera, devono ripartire dall’ammissione di quell’errore. Altrimenti saranno altri a dipartire. Gli elettori.

Pubblicato da Libero

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