Politica

Pericolo Milosevic

Processare Slobo Milosevic può sembrare un atto di giustizia, una vittoria del diritto sulla forza. Se così fosse dovremmo rallegrarcene, ma così non è. Al contrario, questo processo è un atto rischiosissimo, che non modifica il giudizio politico, ma, purtroppo finirà con l’umiliare la giustizia. Un errore, quindi.

Il giudizio politico su Milosevic è e resta estremamente severo, ciò non solo per i crimini commessi, ma perché il progetto della grande Serbia, da lui non inventato (ha radici storiche profonde) ma adottato, è un pericoloso motore d’instabilità, dolore e morte. Questo ex funzionario comunista, uscito dal grigiore per imbracciare la bandiera dell’orgoglio serbo, può dire all’occidente di essersi battuto contro la grande piaga dell’integralismo religioso, che in quelle zone è integralismo islamico, ed è stato, anche per questo, un interlocutore non disprezzato; ma sull’altro piatto della bilancia rimane un’ideologia nazionalista che, innestata nei balcani, equivale ad inseminare guerra, deportazione e stermini.

Negativo, quindi, il giudizio politico. Ed a quel giudizio devono accomunarsi, per quel che contano, anche le forze politiche italiane che furono dalla parte di Slobo: da Cossutta a Bossi. Così come è bene non dimenticare le responsabilità del governo italiano che coprì l’affare relativo a Telekom, e l’oggettiva responsabilità di Dini, che quella politica guidò sotto le varie versioni uliviste.

Ma se tale è il giudizio politico, a criteri del tutto diversi deve ispirarsi il giudizio di un tribunale: lì occorrono il rispetto della forma; l’individuazione di precise responsabilità personali; le prove.

Un tribunale che traesse legittimità solo ed esclusivamente dal già espresso giudizio politico e che, quindi, potesse esercitare le sue funzioni solo in ragione del fatto che l’imputato è uno sconfitto, sarebbe illegittimo. Questo è quello che, all’Aja, ha sostenuto Milosevic, dimostrando come le operazioni incaute possono divenir dannose, come il colpevole può mettersi dalla parte della ragione.

Chi ha istituito quel tribunale, chi ne ha stabilito leggi e procedure? Ci sono risposte, a queste domande, ma l’opinione pubblica mondiale coglie il semplice fatto che siede sul banco dell’accusato uno sconfitto, mentre non vi siedono gli esecutori dei massacri (ed il giorno stesso dell’apertura dell’udienza preliminare i militari della Nato hanno fatto sapere di non avere mai ricevuto l’ordine politico di arrestarli); coglie che l’imputato di oggi era l’interlocutore con cui trattare ieri, e si domanda se ieri tutti i governi occidentali semplicemente ignorassero quel che era successo; ricorda che Milosevic ha perso le elezioni ed è stato sostituito al potere prima di essere arrestato; sa, infine, che massacri come quelli ordinati e coperti da Milosevic vengono commessi anche da altri criminali politici, i quali, però, non solo no vengono processati, ma neanche accusati e semplicemente mantenuti come partner economici e politici.

Tutto questo, alla fine, rischia di ritorcersi contro l’occidente, annebbiando le indubbie responsabilità di Milosevic e restituendogli la maschera dell’eroe nazionalista, l’orgoglio di chi non si piega alla potenza dei bombardieri, la forza di chi combatte per un’idea. Pessimo affare per l’occidente e pessimo affare per chi ha battuto Milosevic nelle urne.

E si ritorce contro la giustizia, chiamata ad allestire una commedia del diritto con giudici togati che seguono una procedura sconosciuta a quasi tutti i cittadini del mondo, con un prosecutor ciarliero e narciso che, addirittura, lamenta lo scarso appoggio della Nato alle indagini contro Milosevic. Il quale Milosevic ha licenziato gli avvocati, e, almeno per ora, si accontenta di essere difeso dall’esuberanza del suo accusatore. Dal punto di vista difensivo, una mossa azzeccata.

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