Politica

Pistola sul tavolo

Buona l’impostazione data dal governo, per il Consiglio europeo di oggi: mettiamo sulla bilancia impegni per riforme profonde (mercato del lavoro, giustizia, fisco e pubblica amministrazione) e chiediamo di avere maggiore libertà nel compensare i conti, quindi la non perfetta coincidenza fra minori incassi (sgravi), maggiori uscite (pagamento debiti della pubblica amministrazione, edilizia) e minori spese (piano Cottarelli). Tenuto presente che, a parte il debito colpevolmente mostruoso, gli altri conti italiani sono più in regola di quelli degli altri europei. Buona la puntuta vigilanza di Forza Italia, che dice al governo: belle le cose dette, ma dovete mettere qualche numero sul tavolo, farci vedere i conti, tracciare il tragitto fra il dire e il fare. Ma il patto stipulato sulle riforme costituzionali dice agli altri europei che l’Italia con la testa sulle spalle ha deciso di muovere le gambe. Proprio perché il momento è buono, al di là della legittima e noiosa propaganda, si eviti di dire bugie: il problema non sono i parametri di Maastricht, ma l’appuntamento con il Fiscal Compact. Lì si deve negoziare, altrimenti stiamo solo prendendo tempo. Inutilmente.

Il governo ha consapevolezza di questo problema, come si evince dalle parole di Graziano Delrio. Ma sbaglia quando afferma che il negoziato sul Fiscal Compact lo dovremo fare alla fine del 2015, grazie anche al fatto che il “patto” (parola chiave) consente una qualche elasticità triennale. Sbaglia perché non ha alcun senso invocare il 3% di deficit (sul pil) consentito dal trattato, laddove il patto non solo lo cancella, ma impone il pareggio di bilancio (improvvidamente inserito anche nella nostra Costituzione) nel mentre si riduce il debito di un ventesimo l’anno, per venti anni, fino alla sua riconduzione entro il 60% (sempre del pil). Quella è la vera sfida.

Il meccanismo che si sta approntando, cui lavora una commissione di cui nessun italiano fa parte e che è presieduta dall’ex governatrice della banca centrale austriaca, Gertrude Tumpel-Gugerell, potrebbe funzionare così: a. i paesi dell’Unione monetaria europea i cui debiti eccedono il 60% (tutti), cedono la parte eccedente a un fondo di redenzione (si chiama proprio così, con una sfumatura mistica: redemption fund); b. stabilita una divisione ventennale delle quote di rientro, da ciascuno si prende, direttamente dal gettito fiscale, senza passare per alcuna discrezionalità governativa, quel che serve a pagare. Sembra che si sia tutti sullo stesso piano, ma non è affatto così. Noi, per esempio, perderemmo sovranità fiscale. Per venti anni. Da europeista non mi scandalizzo per le cessioni di sovranità, ma sono accettabili solo laddove sono simmetriche e dall’altra parte ci siano organismi politici, frutto della democrazia, non burocrazie e tecnocrazie. In quel modo l’Uem diventa un incubo.

Come si fa a trattare? Aiuta la coesione nazionale, sul punto. Anche senza mescolare il ruolo di chi è al governo con quello di chi è all’opposizione. Ma non basta. Con il governo Monti, ad esempio, quelle forze componevano la medesima maggioranza, con esiti pessimi: crescita della pressione fiscale e del debito, contemporaneamente. Credo si debba mettere una pistola sul tavolo. Non per usarla, ma per significare che non possiamo essere usati. La pistola è il frutto del lavoro svolto da Giuseppe Guarino. In sintesi: il trattato di Maastricht è vincolante, perché adottato con tutti i crismi, il “patto” successivo no, perché non ha eguale legittimità avendo il peso di un trattato, ma non essendo stato approvato da nessun Parlamento.

Fu un errore affrontare la speculazione contro i debiti sovrani, che ci ha sventrati, senza mettere sul tavolo un piano alternativo, consistente nella fine dell’euro. Dopo quell’errore siamo noi (non da soli) ad avere pagato per salvare l’euro, mentre i tedeschi ci guadagnavano. Sono errori da non ripetersi. Né quel piano, né la pistola-Guarino devono essere concepiti per essere usati, ma per dimostrare che lo potrebbero. Per significare, quindi, che l’Ue dell’integrazione e della collaborazione, nella ricerca dello sviluppo, sono ancora obiettivi nobili, mentre l’uso dei vincoli per tenere fermi i concorrenti e far crescere i propri campioni nazionali no, non ha nulla di nobile. Anzi: è ignobile.

Nelle parole di Delrio, come in quelle pronunciate ieri da Matteo Renzi, alla Camera, ritrovo molte delle cose che abbiamo qui scritto, prima di tutto sulla consapevolezza del peso, del ruolo e dei meriti italiani. In quelle di Renato Brunetta, anticipate al Foglio, trovo la consapevolezza di una partita che non può essere ridotta al solo cortile elettorale. Ma proprio per questo è ora di dare alla posizione italiana la forza e la dignità di una potenza europea. Che l’Ue vuole costruirla, vedendone i profondissimi difetti istituzionali, non subirla.

Pubblicato da Libero

Condividi questo articolo