Politica

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editoriale giacalone 1° dicembre 2023
Servono destra e sinistra che sappiano contrapporsi senza mettere in dubbio l’integrazione europea. Questo sì sarebbe nell’interesse dell’Italia.

Per alzare lo sguardo su Henry Kissinger si deve tenerlo fermo sulla realtà. Il principe dei negoziatori ha sempre realisticamente saputo che senza la forza non esiste la diplomazia. Non si ottiene mai la pace se non si mette la guerra nel conto. L’aggressore va battuto, poi si negozia perché non si può cancellarlo. La forza militare, per non essere utilizzata, occorre che sia preponderante. Usarla senza avere in mente un approdo negoziale serve soltanto all’inutile carneficina.

Conoscere approfonditamente la storia è indispensabile per guardare in profondità il futuro. Su questa solidissima struttura issava le idee del presente, sapendo che sarebbero state cangianti al mutare delle condizioni. Era stato contrario all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, quando quel Paese lo chiese e la proposta fu lasciata cadere da parte dell’Alleanza Atlantica. Ma quando Putin l’invase fu immediatamente chiaro che non ci sarebbe mai stato alcun negoziato che non fosse una capitolazione e se non si voleva la capitolazione – che sarebbe stata devastante per la sicurezza di tutte le democrazie – si doveva non solo sostenere l’Ucraina, ma farla entrare nella Nato. Gli equilibri si rispettano, ma se uno squilibrato li rompe va sconfitto.

Devi avere in mente un ideale, se vuoi leggere il presente. Devi usare il realismo, se vuoi che quell’ideale sia leggibile. E in questo continuo altalenare delle forze in campo, si cerca di indirizzarle per quello che sono. Vivere in un mondo immaginario non è da idealisti, ma da fessi. Vivere in un mondo di interessi senza idee non è da materialisti, ma da gretti. In questo consiste la politica, nell’instabile e continuamente cangiante equilibrio fra idee e fatti, aspirazioni e forze, interessi e visioni. Sono passati molti anni da quando Kissinger disse che non sapeva cosa fosse la Comunità europea, perché non ne aveva il numero di telefono. È poi nata l’Unione europea ed è in circolazione una moneta che, nelle transazioni internazionali, è seconda soltanto al dollaro.
Noi europei vediamo già iniziata la campagna per le elezioni del prossimo giugno, ma già sappiamo anche che i cittadini non voteranno sulle questioni dirimenti. Sui temi decisivi. Voteranno per forze politiche nazionali (sebbene apparentate fra loro) e si regoleranno in larga parte su questioni domestiche. Magari con qualche maggiore libertà, visto che quel voto non farà nascere o morire (immaginiamo) dei governi. Ma non voteranno sulla necessità di mettere in comune la difesa e non avranno voce in capitolo sulla cancellazione del voto all’unanimità, senza la quale sarà ben difficile affrontare e realizzare la necessaria integrazione richiesta dalla definitiva scomparsa del mondo e degli equilibri del secondo dopoguerra.
Saranno materie riservate ai governi, che, per carità, sono tutti democratici, tutti frutto indiretto della sovranità popolare, ma il legame fra voto ed esito si diluisce, a livello europeo. E non è un bene.
Nella condizione data, la sola esistente, è una perdita di tempo fare ora una campagna elettorale sul passato, pensando di portarselo intonso nel futuro. Servono ideali e realismo. Serve la politica. La destra ha cavalcato un sovranismo anti-europeo, lasciando credere che senza istituzioni europee comuni ciascuno sarebbe stato più libero di far quello che gli pare. Palloccolose le discussioni sul sovranismo e sulla sua base sociale, tanto è facile: i Paesi con alto debito trovano quelli che lo vogliono più alto; mentre ovunque si vogliono i servizi forniti dagli immigrati, ma senza avere gli immigrati fra i piedi. Fuori dalla realtà. Serve far capire che la sovranità discende dalla forza e che nessun Paese europeo ha, da solo, la forza di difendere confini o moneta.
Non si tratta di contrapporre il bene al male – lasciamo questa attività ai mistici – ma di indicare la convenienza con realismo. Servono destra e sinistra che sappiano contrapporsi senza mettere in dubbio l’integrazione europea. Questo sì sarebbe nell’interesse dell’Italia.
Davide Giacalone, La Ragione 1° dicembre 2023
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