Non chiamerei “confessioni” le Sue considerazioni sul giornalismo all’epoca del manipulitismo, non foss’altro per nulla concedere al linguaggio carcerario, né credo vi sia bisogno dei Suoi pentimenti. Il fatto, come s’usava dire una volta, è politico, e come tale va valutato, con sano ossequio allo storicismo.
L’ira di Stefania Craxi è più che comprensibile: è condivisibile. Stia attento Lei, piuttosto, a non cadere nelle ingenuità. Che esistesse il pool dei giornalisti, condivido la Sua osservazione, lo sapevano tutti. Non di meno tutti i giornalisti lo negavano. Esisteva anche il pool dei velinari di procura, ma non dica che la cosa non fu descritta, esaminata e denunciata. Semplicemente non si è dato diritto di tribuna a chi lo ha fatto.
Lo scambio di opinioni con Stefania Craxi porta leggermente fuori strada: Craxi fu abbattuto non solo in quanto leader socialista, ma, soprattutto, quale perno di un equilibrio politico che ancora aveva il consenso della maggioranza degli elettori. Quel mondo fu fatto fuori per via giudiziaria, lasciando un segno inquietante sulla politica poi sviluppatasi. La sinistra comunista appoggiò quel disegno, aprendo la strada al più forte governo delle destre. Storicisticamente parlando, Signor Direttore, un bel capolavoro.
Non si chieda, La prego, perché il Corriere della Sera appoggiò anch’esso il colpo giudiziario. Se lo fa Le applico la legge antitrust sull’ingenuità: gli editori, di quello e d’altri quotidiani, trattarono la propria immunità in cambio d’appoggio.
Le privatizzazioni, in questo quadro, non furono la vittoria del mercato sullo statalismo, ma una scombinata svendita che ha creato guasti enormi nel ed al mercato.
Infine, caro Direttore, essendoci tutti affrancati dal mito rivoluzionario, che tutto subordina al sol dell’avvenire, Le suggerisco di riflettere sulle vite private che, in cotanto clangore, furono mediaticamente massacrate. Così, tanto per tenersi in garantistico esercizio.
Con sincera ammirazione per Lei ed il Suo giornale, Le porgo i più cordiali saluti.