Politica

Populisti

Il populismo è una patologia della democrazia. Non della destra o della sinistra, ma della democrazia.

E’ bene sottolinearlo perché nel mentre la sinistra mostra diffusi sintomi di questa malattia, si tenta di scaricarne l’esistenza sulla storia della destra. E’ bene tenerlo presente perché certi errori d’analisi conducono, poi, ad errori politici le cui conseguenze possono essere tragiche.

Per avere la misura di quanto grandi siano certi errori non sarà necessario leggere l’ultimo libro scritto dai francesi Yves Mény e Yves Surel (“Par le peuple, pour le peuple”), essendo sufficiente guardarne la copertina: dovendo dare un volto al populismo gli autori hanno scelto quattro personaggi che, in senso orario, sono: Silvio Berlusconi, Jorg Haider, Jean Marie Le Pen ed Umberto Bossi. Essendo un libro di francesi per un pubblico francese è comprensibile che si trovi Le Pen (che, però, faccio fatica a considerare un populista, essendo semmai uno xenofobo), ma che vi siano ben due volti d’italiani, in uno studio che spazia dal partito del progresso in Danimarca e Norvegia, alla nuova democrazia in Svezia, dallo svizzero partito degli automobilisti fino alle esperienze statunitensi di George Wallace, Ross Perot e Pat Buchanan, ci pare un po’ troppo. Quindi è opportuno fermare alcune riflessioni sul populismo. Così, tanto per intenderci.

Al solo sentire questo ismo la mente corre ad un nome: Peron. In quel di Argentina il populismo ebbe un leader forte in Juan Domingo, ed una eroina ideologa in Eva Duarte, detta Evita. Quest’ultima seppe elaborare una visione mitologica del popolo, che diveniva unico riferimento possibile dell’azione politica. Non il popolo nella sua concretezza, composto d’individui, ma la sua versione mitica, per ciò stesso irreale. E’ bene osservare che se il complesso teorico del populismo peroniano è difficilmente commestibile fuori dall’area e dall’epoca in cui visse, vi sono molti dei suoi elementi che si ritrovano in altre latitudini ed in altre epoche. L'”andare verso il popolo”, ad esempio, è un concetto non certo limitabile ai peronisti.

Evita diceva che occorre sentirsi popolo, vestire come il popolo. E che altro facemmo, noi, nella nostra gioventù? Francesco Guccini (cantautore decisamente di sinistra) descrisse questo sentimento in una canzone che ha per titolo il nome di un capo d’abbigliamento: Eskimo. E quello stesso indumento, quanto meno al mercatino americano di Livorno, aveva anche un altro nome: Lotta Continua. Mi dia un Lotta Continua (?ontinua, per la verità) taglia quarantadue. Basta osservare per trovare nella nostra quotidianità tante cose che ci sembrano così estranee, se sentite enunciare come teorie.

Il populismo è una malattia della democrazia proprio perché ha bisogno della ricerca del consenso, attività che una dittatura impedisce. Contiene in sé, però, forti pericoli dittatoriali. Non è difficile comprendere per quale ragione.

Il populismo si afferma negando vincoli e compatibilità. Ricerca il consenso reclamando ciò che è bene e ciò che è giusto non tendendo minimamente conto di quel che è possibile. Nega le necessità e gli obblighi, privilegiando le speranze ed i sogni. Per questo suo approccio, quindi, non è di destra o di sinistra, ma, anzi, ne troviamo indizi da ambo le parti. Il populismo s’insinua nelle difficoltà della politica e si alimenta delle incapacità dei politici o dell’azzardatezza delle loro promesse. Se, per esempio, una coalizione di governo aveva promesso di dimezzare la disoccupazione e diminuire del dieci per cento la pressione fiscale e, a consuntivo, si trova ad avere ridotto la disoccupazione del venti per cento e la pressione fiscale del tre; il populista si presenterà davanti agli elettori dicendo non che sarà in grado di realizzare quel che gli altri avevano promesso invano, ma promettendo la piena occupazione ed una quasi sparizione della pressione fiscale.

Avendo sollecitato e promesso l’impossibile, se una forza populista raggiunge il potere è inevitabile che tenti di limitare gli spazi di libertà, che, altrimenti, attraverso questi emergerebbe l’inevitabile protesta. Il populismo teme, prima d’ogni altra cosa, il popolo. Quello vero.

Si pensi a certe proteste italiane contro la politica del governo, si prenda, ad esempio, la questione delle pensioni. Il governo Berlusconi, per bocca del suo ministro del tesoro, Lamberto Dini, propose una riforma del sistema pensionistico. Quella proposta, come tutte, poteva essere criticabile e migliorabile, ma la reazione delle sinistre non fu molto dialogante: promossero delle manifestazioni di piazza per dire che le pensioni non dovevano essere toccate. Chi era il populista? Poi, giunti al governo, furono gli uomini della sinistra a dovere fare i conti con la necessità di mettere mano ad una riforma del sistema pensionistico, e fu il loro leader, Massimo D’Alema, a lamentare la poca serietà di chi negava una così lampante necessità. D’Alema aveva perfettamente ragione, ma se quella affermazione gli costò popolarità, se l’affermazione di quella necessità deluse molti suoi elettori, con chi deve prendersela: con gli avversari politici o con il modo in cui era stata costruita la vittoria elettorale?

Il populismo ha anche altre caratteristiche, prima fra tutte la volontà di ricercare un rapporto non mediato con il popolo, un desiderio di comunicazione diretta ed extraistituzionale che porta con sé, inevitabilmente, una forte personalizzazione dell’identità politica. In questo il populismo è il grande nemico della democrazia governata dai partiti politici, i quali, nel bene e nel male, si caratterizzano per il programma e la proposta. Il populismo punta le carte sul proprio leader. Ecco che, in questa versione, Berlusconi diviene fortemente indiziato di populismo: è un leader carismatico e dispone di mezzi di comunicazione. Ma attenti alle apparenze ingannatrici.

I mezzi di cui dispone sono, in realtà, quelli di cui dispongono tutti. Certo, lui li possiede direttamente, ma questo può essere utile a spiegare la sua ricchezza, non la sua popolarità. In quanto alla personalizzazione ci andrei piano. L’Italia è stata governata da un presidente eletto nelle liste di “Prodi per l’Italia”. L’Ulivo era “Ulivo per Prodi”. E’ stata governata anche da un presidente che ha fondato un partito, dandogli il proprio cognome: Dini. I sindaci Orlando, Bassolino, Rutelli e Bianco hanno dato vita a forze politiche proprie e con il proprio nome. Berlusconi no. Come la mettiamo?

Umberto Bossi somiglia più di altri ad un vero leader populista. Uomo di raffinato (non sto scherzando) fiuto politico è riuscito ad affermare temi e suggestioni prima estranei alla lotta politica ed alla storia d’Italia. Certo non si può dire che abbia il culto del realismo e delle compatibilità; certo non gli si può attribuire un eloquio sobrio e privo di suggestioni mitologiche (fino a farne fare le spese al suo ultimogenito). Ma ecco un compito da assegnare a chi abbia stomaco: analizzare la proposta politica, o, se si vuole, propagandistica della Lega e misurarne, nel tempo, l’andamento. Si scoprirà che il massimo di populismo e di carica eversiva, fino alla proposta di rompere l’unità nazionale ed alla sbruffonata di riunire un presunto parlamento alternativo, si raggiungono proprio quando … Bossi era un prezioso e corteggiato alleato della sinistra.

Scrivo questo non per affermare che il populismo è una malattia di sinistra, ma per smentire che sia una malattia di destra. E’, come si diceva all’inizio, una patologia della democrazia. Cresce nella sfiducia e nella disaffezione, si nutre dell’idea che la politica sia comunque corrotta e che i politici siano tutti ladri, si arricchisce nella convinzione che nessun governo potrà mai battersi per una giusta amministrazione delle cose comuni. A saper leggere le cose italiane, come quelle francesi, come quelle tedesche, come quelle belghe, e così via, a voler buttare il paraocchi ci si accorge che nulla è mai stato più populista del giustizzialismo europeo negli anni novanta. I figli di quella stagione sono ancora in circolazione, ed in quanto a serietà e coerenza fanno rimpiangere la solidità intellettuale di Evita.

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