Politica

Poste e testacoda

Attorno al sistema postale italiano si giuoca una partita interessante e rivelatrice. So bene che delle poste si parla solo per lamentarne i disservizi ed ogni altra considerazione è giudicata noiosa, ma un po’ di attenzione è ben spesa, visto che aiuta a comprendere come si stiano facendo passi indietro anziché avanti.

Alla fine degli anni 80 l’Unione Europea aveva avviato la liberalizzazione in tutti i mercati della comunicazione, ma segnava il passo nel campo dei servizi postali. Fu nel corso del turno italiano di presidenza che si prese l’iniziativa di un Consiglio informale, che avviò la stesura di un Libro Verde e la conseguente liberalizzazione. Non ci si fece trascinare, insomma, ma ci si mise alla testa del corteo. Oggi, quando quei processi dovrebbero essere largamente maturi, dopo soli dieci anni, dalla testa siamo passati alla coda, per giunta distaccati. Non c’è certo da esserne orgogliosi.

Per tutelare il monopolio e difendere l’inattaccabilità del proprio lavoro l’attuale dirigenza postale fa ricorso al concetto di servizio universale. Vale a dire: siamo incaricati di portare la posta in ogni luogo, dove è economicamente conveniente e dove non lo è; se si consente ai privati di agire solo dove il servizio è remunerativo ecco che noi non avremo più le risorse per servire i cittadini che si trovano fuori da quelle zone; dalla liberalizzazione, quindi, saranno penalizzati i più disagiati. Codesta è l’eterna litania del monopolio, l’approccio secondo il quale ogni libertà è uno svantaggio per i deboli ed un profitto per i forti. Nel caso italiano, però, contiene ulteriori elementi di assoluta falsità. Vediamone tre.

1. Se fosse vero quel che i dirigenti postali sostengono ne dovrebbe conseguire che in permanenza di monopolio, potendo compensare i costi della socialità con i guadagni tratti dalle zone profittevoli, i conti postali sarebbero dovuti essere in attivo, o, quanto meno, in pareggio. E vi pregherei di non ridere così sfacciatamente. Ciò non è mai avvenuto, ma non perché (magari anche, ma non è questo il punto) le poste siano state amministrate da degli incompetenti, bensì perché sul sistema postale si sono scaricati altri costi di socialità, come per esempio i problemi della disoccupazione da riassorbire, il che ha sballato i bilanci. Morale: la socialità è una cosa i bilanci delle aziende un’altra, a mescolarle si ottengono solo deficit e clientelismo.

2. I dirigenti postali di oggi ripetono, in assoluta continuità, quel che dicevano i dirigenti postali di ieri: siamo la più grande banca d’Italia, raccogliamo il risparmio, gestiamo i pagamenti, in molti comuni siamo gli unici ad esserci e poterlo fare, il settore del Bancoposta va molto bene. Calma con gli entusiasmi, ed analizziamo il fatto. I cittadini postalizzano molti pagamenti per il semplice motivo che sono obbligati a farlo, altrimenti si rivolgerebbero volentieri a luoghi di pagamento meno affollati. E’ vero che in molti paesi le Poste sono l’unica struttura esistente, ma chi ha pagato i costi di quella presenza, che oggi consente di raccogliere il risparmio che colà si produce? Li ha pagati lo Stato e sarebbe, quindi, opportuno metterli a disposizione della concorrenza (così come si fa con le reti di telecomunicazione) non usarne le pietre per costruire il fortilizio del monopolio.

3. Non è vero che l’attuale dirigenza postale ha ereditato dal passato il dissesto dei servizi, o, almeno, non è del tutto vero. Ha ereditato problemi gravi, che già in passato c’è capitato di fotografare in modo impietoso, ma spieghi, almeno, perché i tempi di recapito si sono allungati. Perché le cose sono andate peggiorando? Sempre colpa di quei farabutti del passato? Mai nessuna responsabilità per le verginelle del presente?

Le agenzie di recapito che lavorano in Italia non sono mai state una vera e propria concorrenza al monopolio postale. Erano una specie di legione di complemento, tanto è vero che si poterono fare accordi (profittevoli per le poste pubbliche) di collaborazione. Detto questo erano pur sempre una palestra nella quale tener viva la muscolatura di una potenziale alternativa al monopolio. Cosa si vuol fare adesso? Si vuol chiuderle, si vuole, per legge, sottrarre loro spazi di mercato. Non con la concorrenza, non battendole in capacità, no, per legge. Così facendo l’Italia fa un salto indietro spaventoso, nel compiere il quale si giunge al ridicolo di volere rimonopolizzare la posta elettronica che è già più un servizio di telecomunicazione (interamente liberalizzato) che non postale.

I dirigenti postali di oggi, quindi, sostengono apertamente, con i loro volti nuovi, quello che i dirigenti postali di ieri non avrebbero neanche sognato. Ma quelli di ieri erano vecchi e cattivi, quelli di oggi sono nuovi e buoni. In virtù di ciò si permettono di dire, con tono schifato, che chi si batte contro il monopolio lo fa per difendere gli interessi dei privati imprenditori. A parte il tono schifato, hanno ragione. Meglio il mercato libero, animato da soggetti in concorrenza, del sistema monopolistico, burocratico e clientelare, capace di produrre perdite e disservizi non meno di nuovo boiardismo.

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