Non è la prima volta che un presidente della Repubblica si dimette. C’è abbondanza di precedenti. Ogni caso è a sé, ma la procedura successiva è sempre la stessa. E’ la prima volta, invece, che la medesima legislatura è chiamata a eleggere due volte l’uomo del Colle. Ciò non cambia la procedura, naturalmente, ma la cornice politica. Tenuto anche presente che la prima volta in cui fu chiamato a quel compito, questo Parlamento, non ci si riuscì. Tanto che si finì con il rieleggere quello scaduto. Questo è un bandolo della matassa, vediamo come si può arrivare all’altro capo.
Intanto evitando di perdere la memoria e, quindi, ricordando che ci si è dimenticati di un giudice costituzionale. Può sembrare incredibile, ma la Corte costituzionale manca di un suo componente, perché il Parlamento non riesce a eleggerlo. Fino a qualche settimana addietro i membri mancanti erano due, e per prassi si sapeva che uno avrebbe dovuto far capo alla destra, mentre l’altro alla sinistra. Li si votava in coppia, talché non ne passava nessuno. Con una differenza: la destra cambiava candidati con più disinvoltura degli abiti, mentre la sinistra rimaneva ferma sul suo nome (Luciano Violante). Finché, un bel giorno, la sinistra cambiò campione. Risultato: il giudice di sinistra è stato eletto al primo colpo, con i voti anche della destra. Da quel momento ci si è dimenticati del secondo. Che continua a mancare. Che c’entra con il Quirinale? C’entra, eccome. Per due ragioni: la prima è che una della cause classiche di scioglimento anticipato è proprio l’incapacità del Parlamento di adempiere ai doveri costituzionali, fra i quali non c’è solo il votare la fiducia a un governo; la seconda è che per eleggere il presidente della Repubblica ci vogliono meno voti che per eleggere un giudice costituzionale (pur essendo diversa la composizione degli elettori).
Morale: fin qui siamo alla pretattica, alla commediola ad uso e consumo dei giornali e dei (sempre meno numerosi) appassionati di politica, ma quando si entrerà nel vivo della faccenda non saranno infinite le cartucce da sparare. Perché la legislatura abbia un senso, perché lo abbia ancora, ammesso che lo abbia mai avuto, è necessario che l’eletto sia figlio dei primi scrutini. Ciò ha delle conseguenze, a sinistra e a destra.
A sinistra comporta che Matteo Renzi non si metta a giocherellare con minchionerie modello “società civile”. Qui non serve un bel nome, ma qualcuno che sappia dove va ad abitare e perché. Se pensano di eleggere un fantoccio sono dei matti, perché i fantocci servono a nulla, in caso di bisogno. Quindi: che il nuovo presidente sia figlio del Nazareno. Partorito al quarto-quinto tentativo. Non oltre. Meglio se prima, perché ciò dimostrerebbe la forza dei due leaders nel controllo dei gruppi parlamentari.
A destra comporta che Silvio Berlusconi non sia disposto a votare chiunque, pur di sentirsi promettere quel che non gli sarà poi dato. Inutile girarci intorno: non c’è possibilità di grazia. E se vi fosse sarebbe il colpo di grazia di un intero schieramento politico. Roba pericolosa. Quello cui si può pensare è una effettiva (al momento inesistente) riforma della giustizia, cui far seguire l’amnistia. La trattativa per il Colle, quindi, si deve basare sulle garanzie politiche, non su quelle giudiziarie.
Se Renzi non sarà all’altezza, verrà travolto dai problemi economici e presto dimenticato. Se Berlusconi non sarà all’altezza, verrà gabbato e umiliato, restando a lungo nella memoria di reduci senza storia e senza neanche l’idea di un futuro. Se entrambe sapranno coprire il ruolo che la storia assegna loro, il cammino successivo non sarà facile, ma avrà un senso. Se saranno in tandem, nel pedalare a vuoto e pavoneggiarsi senza senso, bé, in questo caso non resta che attendere che passi ‘a nuttata. Che solo il fatalismo rassegnato potrebbe far da antidoto a un simile sfacelo.
Pubblicato da Libero