Politica

Primarie politiche

Sembra un gioco degli specchi, invece sono le convulsioni di una politica che cerca di uscire (viva) dalla seconda Repubblica. Non hanno fatto le riforme costituzionali, ma quella seconda versione repubblicana è comunque finita, perché s’è sottratto il suo ideatore e reggitore: Silvio Berlusconi.

Dal punto di vista pratico Berlusconi s’è ritirato da una cosa che non esiste, quindi dal nulla, perché in Italia non esiste l’elezione del capo del governo, sicché non ci si può candidare. Ma era stato così convincente, nel far credere il contrario, che non solo lo hanno creduto i suoi avversari, la sinistra, ma quest’ultima è giunta fino ad organizzare le primarie per tracciare una via democratica a quella candidatura. Una via verso il nulla. Ora, e qui il gioco degli specchi raggiunge il virtuosismo, il centro destra che inventò la candidatura inesistente abbraccia il metodo adottato dalla sinistra, organizzandole. Il tutto senza che siano ancora riusciti, destra e sinistra, a fare l’unica cosa che, a questo punto, compete loro: la riforma del sistema elettorale.

Quindi, cerchiamo di capirci, sulle primarie, in modo che non siano solo una favolosa presa in giro. Come, fino alla volta scorsa, furono nel centro sinistra. Il problema delle primarie, nel centro destra, non è quello di trovare il modo di dare forza e legittimità ad una dirigenza fin qui nominata per cooptazione, giacché questo genere d’esercizio lo fece già la sinistra, prima con Prodi e poi con Veltroni, fallendo. Né poteva essere diversamente, perché nessuno trae forza e legittimità da una consultazione con regole fai da te e con un controllo di regolarità a dir poco lasco. Il problema, per il centro destra, è assai più profondo: l’elettorato moderato è sempre stato maggioranza, dal 1948 in poi: esisteva prima di Berlusconi e gli sopravviverà, solo che ora corre il serio rischio di restare senza rappresentanza. Non a caso nascono iniziative varie, che sembrano riedizioni stilisticamente aggiornate dell’operazione a suo tempo lanciata da Umberto Agnelli, all’interno della Democrazia cristiana. Che fallì. Mentre non si contano i segretari Cisl che si buttano in politica e nessuno li raccoglie.

L’elettorato moderato può ben mettere nel conto d’essere governato da una sinistra moderna e occidentalizzata. Non credo ci sarebbero reazioni isteriche all’eventuale vittoria di posizioni come quella di Matteo Renzi. Salvo poi verificarne le effettive capacità. Ma quell’elettorato non accetta di finire nelle mani del fu Partito comunista italiano. E l’alleanza fra Bersani e Vendola è un’alleanza fa uomini del Pci, che provano a riprodurre l’equilibrio del Pci. Non è questione ideologica, ma sociale, economica e storica. Il capolavoro di Berlusconi, nel 1994, fu non solo capirlo, ma trovare il coraggio di fronteggiare quella sorte, mentre tutti scappavano. E questa, oramai, è storia. Se si vuole costruire politica, adesso, non è neanche ipotizzabile che si facciano le primarie, nel centro destra, per stabilire se la guida deve essere nelle mani di Angelino Alfano o di Daniela Santanché. Con tutto il rispetto (sincero e non ipocrita) per le persone, qui non si tratta di scegliere il campione da mandare ai dibattiti televisivi, ma una linea politica e una strategia delle alleanze.

E’ ora di spiegare ai moderati italiani che la salvezza sta nelle liberalizzazioni e nei tagli alla spesa pubblica, non prestando orecchio al putiferio che queste cose (se si fanno veramente) sollevano. E credo che vada cercata un’alleanza non con il centro per vincere l’aritmetica elettorale, ma con tutti quelli, sinistra compresa, che abbiano il coraggio di dire che servono: a. riforme costituzionali, per rafforzare il governo; b. dismissioni di patrimonio, per abbattere il debito. Ciò significa che la leadership non può essere nelle mani, né da una parte né dall’altra, di chi ha già fallito questi compiti.

Le primarie burletta sarebbero solo uno scimmiottare quel che già a sinistra non ha funzionato. Le primarie serie non possono che coinvolgere e travolgere la linea politica, quindi essere vere, aperte e dolorose.

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