In Medio Oriente brontola l’inferno, e nessuno s’illuda di poterne contenere i fuochi nel girone della striscia di Gaza o nelle città israeliane. Ancora una volta, come nel passato, la stella di David è solo un avamposto delle democrazie, il posto più facile da colpire. Ma questa volta, più di altre, con i missili esplodono anche i nostri errori.
Si ritrovano nelle parole di Mohamed Morsi, presidente egiziano, il quale, dopo essere stato in visita alla striscia, dopo avere definito l’azione militare israeliana “una eclatante aggressione contro l’umanità”, dopo avere assicurato che gli egiziani non lasceranno “Gaza da sola”, ha pronunciato le parole più significative: “L’Egitto di oggi non è l’Egitto di ieri e gli arabi di oggi non sono gli arabi di ieri”. Purtroppo Morsi ha ragione. L’Egitto di oggi è anche il frutto della colpevole stupidaggine con cui l’Occidente democratico si mise a festeggiare la “primavera araba”, con il risultato che le libertà popolari sono diminuite, i governanti amici dell’Occidente sono caduti, mentre i boia siriani, che stanno massacrando il loro popolo, sono ancora al potere. Avvertimmo allora dell’errore, né questo ci consola punto. Per questa ragione, quindi, i missili palestinesi che colpiscono Israele, che hanno violato anche la città di Gerusalemme, dobbiamo sentirli come esplosi sulle nostre case e sulle nostre cose.
Ed ecco le conseguenze politiche: con alle spalle un Egitto laico, in mano ad un governo che ci voleva fantasia per definirlo democratico, ma che era migliore dell’attuale e che, soprattutto, era ancora sulla linea Sadat-Mubarak, quindi del mantenimento della pace con Israele; avendo al fianco una Giordania non isolata e anch’essa amica dell’Occidente; dovendo fare i conti con l’ostilità siriana e l’instabilità libanese, era possibile che i palestinesi si dessero una guida politica rispondente ai loro interessi, al bisogno di non correre ogni giorno il rischio di morire ammazzati, non piegata all’uso di Israele quale ostaggio occidentale in terra mediorientale, quindi era possibile che Abu Mazen mantenesse la propria distanza dai terroristi fondamentalisti di Hamas. Cambiato lo scenario, venuta meno la sponda egiziana, Mazen può scegliere fra morire (per mano “amica”) o allinearsi ad Hamas. Ha scelto la seconda strada. Da qui in poi l’inferno smette di brontolare e comincia a dischiudersi. Ancora una guerra va messa nel conto. Metterla nel conto è l’unico modo per provare a evitarla.
Il precipitare della situazione non può certo essere annoverato fra i successi della Casa Bianca, che porta gravi responsabilità. Noi europei non siamo da meno, a meno che non si voglia invocare l’attenuante della deficienza politica e dell’inconsistenza istituzionale. Ma è un’attenuante? A chi si fosse distratto ricordo che i missili indirizzati contro la popolazione civile israeliana sono dei Fair-5, fabbricati in Iran. Come si vede: evitare di fermare quel regime, che ha nel proprio programma la cancellazione di Israele dalla carta geografica, non è un modo per conservare la pace, ma per comprometterla e avviare la guerra.
Leggo che, secondo taluni, la miccia sarebbe stata riaccesa da Israele, responsabile di avere ucciso Ahmed al-Jabari. Era capo della brigata al-Quassam, una delle peggiori squadracce terroriste di Hamas. Non un militare, un terrorista. Se si ritiene che queste azioni siano illegittime allora si devono ritirare tutti i nostri militari all’estero e attendere che vengano a colpirci direttamente sotto casa.
Nonostante la sperimentata tattica di Hamas, che nasconde i missili e le armi fra la popolazione civile, in modo che i bambini morti siano trofei da esibire innanzi a quegli stessi giornalisti che festeggiarono la “primavera”, su Gaza s’è abbattuta una pioggia di 85 missili israeliani, lanciati in 45 minuti, che ha provocato il seguente bilancio di vittime: 2 persone. Li hanno tirati in mare? No, erano mirati sui siti sotterranei da cui Hamas conta di lanciare missili contro Israele. I bimbi e gli innocenti si sono salvati perché, anche volendo, non puoi metterli a viverci sopra.
Una cosa deve essere chiara, a tutti noi: non siamo spettatori, siamo parte in causa.