Politica

Privatizzando alla cieca

Il dibattito sulle privatizzazioni ha assunto un andamento ondivago ed alticcio.

Vero è che l’estate mal si presta a ponderate prese di posizione, ma abbiamo assistito allo spettacolo di un ministro dell’industria che si lamenta per la mancanza di grande industria privata, ad alcuni commentatori che lamentano il fatto che gli imprenditori privati mirano agli affari e non alla creazione di un bel libero mercato da manuale, ad altri che si accorgono (ma in modo saccente) di quel che ad altri è apparso ovvio.

Tanto per non essere confusi dal caos, piantiamo, ancora una volta, i due paletti fondamentali, i due problemi ancora irrisolti : 1. Devono venire prima le privatizzazioni o la liberalizzazione del mercato? 2. Lo Stato venditore deve comportarsi in modo da realizzare il maggiore incasso, od in modo da ottenere il miglior risultato in termini di articolazione del mercato?

Il settore delle telecomunicazioni è quello che conosco meno peggio, e, quindi, tornerò ad utilizzarlo come esempio. Ci siamo battuti per anni affinché questo mercato venisse aperto alla concorrenza, fosse liberato dai monopoli. In tutti questi anni abbiamo dovuto fare i conti con una propaganda ottusa, secondo la quale ogni apertura era da contrastarsi perché avrebbe giovato agli interessi industriali di questo o quel grande gruppo, come se i mercati internazionali potessero essere aperti solo alle imprese artigiane. La mentalità antimercato, assai diffusa nella politica e nella cultura italiane, anche a dispetto di tanta, recente, retorica liberista, ha regolarmente bloccato ogni seria iniziativa antimonopolista. Anzi, è stata proprio tale mentalità a pretendere di vestire i panni dell’antimonopolismo, affermando che ci sono monopoli pericolosi (quelli in mano ai privati), e monopoli virtuosi (quelli in mano pubblica). I risultati, sono sotto gli occhi di tutti.

Noi dicevamo : aprire il mercato delle telecomunicazioni alla concorrenza, prima che questo ci venga imposto dalle scadenze europee, significa anche creare una imprenditoria nazionale del settore. Niente da fare, si è resistito fino alla fine, e fin oltre la fine. Complice, certo, anche un’imprenditoria privata culturalmente impreparata ad affrontare queste sfide (ma si nuota solo se ci si trova in mare). Complice una stampa ignorante e velinara, che strombazzava il recepimento di direttive UE, non avvertendo che si trattava, a quel punto, di stracotti.

Mentre il monopolio veniva protetto, si voleva far avanzare la privatizzazione del monopolista. Era evidente che si sarebbe giunti al punto in cui si sarebbe privatizzato il monopolio. Tale operazione, però, può essere vestita dei colori che più ci aggradano, ma ben difficilmente si potrà farla passare come una apertura del mercato.

Vedo che, adesso, taluni si accorgono di quel che dicevamo e scrivevamo. Complimenti per la lungimiranza. Ma di che si lamentano, adesso, se i pochi vagiti del mercato, in Italia, portano con sé la presenza di capitale ed industria straniera? Ciò è, oggi, assolutamente inevitabile. A meno che … a meno che non si manovri sapientemente su due leve : la golden share ed il nocciolo duro. Con la prima si mantiene il controllo statale delle strategie; e con il secondo si conferisce il controllo a questa o quella cordata bancario industriale. Soluzione, questa, assolutamente geniale per mantenere intatti gli equilibri di potere in Italia, salvo marginalizzare i nostri operatori e regionalizzare il nostro mercato.

Morale : si doveva prima liberalizzare e poi privatizzare, ma, giunti al punto in cui siamo, si deve accettare che l’apertura del mercato coincida con l’ingresso di operatori ed investitori stranieri. Se non si accetta questo, allora avremo l’Enel che, forte del monopolio dell’energia, andrà ad occupare un posto nel monopolio delle telecomunicazioni. Un capolavoro.

La seconda questione è relativa al ruolo dello Stato venditore. Se intende far cassa alla grande e nell’immediato non dovrà fare altro che rendere il più appetibili possibile le azioni dei monopoli che pone in vendita. Per farlo dovrà farli restare monopoli, e, all’ombra delle magiche “sinergie”, non dovrà neanche smembrarne le varie attività. Pagine Gialle docet.

Taluno ha voluto dire che l’imprenditore privato, che si accinge ad acquisire l’azienda che realizza le Pagine Gialle, ha fatto male ad accettare la condizionante presenza di Telecom Italia. Chi ha scritto questo, evidentemente, ha confuso gli imprenditori con i missionari. Gli imprenditori mirano agli affari, al profitto, ed è giustissimo che sia così. Allora, in ragione delle cose sopra sostenute, le Pagine Gialle senza Telecom, ovvero senza chi realizza l’elenco telefonico e può, in ogni momento, dare vita a prodotti concorrenti con le Pagine Gialle, non valgono un fico secco. L’imprenditore privato lo sa, e si regola di conseguenza.

Lo Stato venditore potrebbe ovviare a questa situazione, ma potrebbe farlo solo interpretando se stesso come parte regolatrice e non come parte venditrice. Sarebbe, forse, giusto. Sarebbe, forse, lungimirante. Ma ho il dubbio che, così agendo, prima o poi, nell’Italia di oggi, si troverà in difficoltà nel dovere spiegare alla Procura della Repubblica di turno perché potendo ottenere 100 ha portato a casa solo 80. Potrebbe sostenere che, così facendo, si è messo nelle condizioni di riscuotere di più domani. Ma, com’è noto, le Procure non fanno politica e, quindi, si occupano solo di quel che è accaduto, non di quel che accadrà.

Tutto ciò significa che le privatizzazioni, in assenza di liberalizzazioni, saranno lo strumento con cui si disegnerà la mappa dei poteri nell’Italia del prossimo futuro. Quasi quasi mi vien voglia di chiedere a Nomisma se hanno messo in cantiere uno studio su questo interessante tema. Probabilmente no, probabilmente non ve ne è stato alcun bisogno, perché Nomisma, adesso, è all’Iri.

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